Cerca

Attualità

Il Vescovo "sfratta" l'Istituto Santissima Annunziata: otto giorni per lasciare l'edificio

Il TAR ha confermato la revoca della parità scolastica, la cooperativa La Risposta perde ogni appiglio. La Diocesi di Ivrea chiede la restituzione dell’immobile: fine di una storia segnata da bilanci in rosso, classi svuotate e promesse di cartapesta.

Annunziata, la Diocesi "cala" l’ultimatum: otto giorni per lasciare l'edificio

Il vescovo di Ivrea Daniele Salera

L’epilogo era scritto da tempo, ma adesso assume i contorni di una resa dei conti. Secondo indiscrezioni sempre più insistenti, l’avvocato della Diocesi di Ivrea avrebbe intimato alla Cooperativa La Risposta la riconsegna dei locali dell’Istituto Santissima Annunziata di Rivarolo, con un ultimatum di appena otto giorni. Un atto che mette la parola fine a una vicenda che per mesi è stata raccontata come “gestibile”, “raddrizzabile”, persino “salvabile”, e che invece si conclude con lo sfratto.

Non poteva andare diversamente: nel contratto di comodato gratuito che regolava i rapporti fra cooperativa e Diocesi, la clausola chiave era scolpita a chiare lettere – “scuola parificata”. Senza parità non c’è convenzione, senza convenzione non c’è più titolo per restare dentro quelle mura. Il TAR Piemonte, il 9 settembre, lo ha certificato con una sentenza netta: la domanda cautelare di La Risposta è respinta, e l’Annunziata dal 1° settembre 2025 non è più una scuola paritaria. Fine della corsa, fine dei fondi pubblici, fine delle convenzioni.

Eppure, nelle ultime ore, a Rivarolo si respira ancora un clima da commedia surreale. Genitori che parlano di colloqui risolutivi col Vescovo, docenti che sussurrano di possibili interventi del sindaco o di qualche consigliere regionale. Come se bastasse una telefonata per riannodare i fili di una storia già spezzata. La verità, amarissima, è che non c’è più nulla da raddrizzare. Non lo era a luglio, quando gli insegnanti ricevevano solo acconti di stipendio. Non lo era ad agosto, quando la cooperativa ha fatto un passo indietro lasciando spazio a una cordata di imprenditori con un bilancio in rosso di quasi mezzo milione di euro. Non lo è oggi, con classi ridotte all’osso e rette che non potrebbero mai coprire i costi reali di personale e gestione.

Il colpo di grazia lo ha inferto il TAR. Non solo ha respinto il ricorso, ma ha messo nero su bianco che l’istituto era stato avvisato, preavvertito, messo davanti alle proprie responsabilità. Dal 13 maggio aveva un mese di tempo per sanare irregolarità gravi: docenti senza titoli, assenza di un coordinatore didattico, contratti incongruenti. Le controdeduzioni del 12 giugno, scrivono i giudici, non erano altro che un’ammissione dei problemi senza alcun rimedio concreto. Una sorta di autodenuncia, incapace di salvare il salvabile.

Dentro e fuori l’Annunziata, oggi, regna un senso di smarrimento. Qualcuno continua a illudersi che si possa riaprire un varco politico o istituzionale, ma la realtà è più dura delle promesse. L’uscita di scena della cooperativa La Risposta, il tracollo delle iscrizioni (da trecento studenti a poco più della metà, con un terzo già migrati verso le scuole pubbliche), la perdita dei fondi pubblici: tutti segnali che puntano in un’unica direzione.

La cordata di imprenditori – Alessandro Anedda, Laura Felician, Stefano Freilone, Igino e Silvana Giudici, Maria Grazia Radicci – si era presentata come l’ultima ancora di salvezza. Ma oggi resta un interrogativo grande come un macigno: quale futuro può esistere senza parità e senza convenzioni? La Diocesi, proprietaria dell’immobile, ha scelto di non aspettare oltre: niente più attese, niente più illusioni. Gli otto giorni concessi per restituire le chiavi non sono solo una scadenza legale, ma il simbolo della fine di un’epoca.

La storia dell’Annunziata, gloriosa nelle sue origini e tormentata nel suo declino, sembra chiudersi qui. A ricordarlo resteranno le aule vuote, i corridoi deserti, e la lunga serie di rassicurazioni di cartapesta che negli ultimi anni hanno tenuto in piedi un edificio già pericolante. Insomma, il sipario cala definitivamente. E questa volta, a differenza del passato, non ci saranno lettere rassicuranti, né accuse alla stampa a nascondere l’unica, brutale verità: l’Annunziata non c’è più.

Cosa ne farà la Diocesi? Anche niente!

a

L'ex presidente della cooperativa "La Risposta" Gabriele Cibrario Rossi

Colpa dei giornali

C’è un vizio, un vezzo, una malattia tutta italiana: vivere nella convinzione che “si aggiusta tutto”. Che alla fine qualcuno tirerà fuori un coniglio dal cilindro, che il Vescovo telefonerà al ministro, che il sindaco farà la voce grossa, che un consigliere regionale piazzerà la toppa. È l’eterna commedia di “va tutto bene, madama la marchesa”. Intanto il palazzo brucia, i conti vanno a picco, i ragazzi scappano altrove e i docenti non prendono lo stipendio. Ma tranquilli: il problema è sempre un altro, e soprattutto è sempre colpa di qualcun altro.

Prendete l’Annunziata di Rivarolo. La parità scolastica revocata dal Ministero e confermata dal TAR? Colpa della burocrazia. I docenti senza titoli? Colpa del destino cinico e baro che non fornisce abilitati a sufficienza. Il coordinatore didattico fantasma? Colpa di chi lo ha notato. Il bilancio in rosso da mezzo milione? Colpa delle famiglie che non pagano abbastanza rette. Le aule svuotate? Colpa degli studenti che hanno avuto la pessima idea di iscriversi alle scuole pubbliche. E i giornali? Ah, i giornali… sempre colpa loro, che “inventano fandonie” e “creano falsi allarmismi”.

È un meccanismo perfetto: qualunque disastro diventa responsabilità altrui. Non c’è mai un mea culpa, non un cenno di autocritica, non un “abbiamo sbagliato”. In compenso, fiumi di lettere rassicuranti: “Tutto è in regola, cari genitori”. Parole che oggi fanno ridere come una barzelletta stanca. Una scuola senza parità che promette continuità è come una banca fallita che vi invita a depositare i risparmi: un ossimoro da cabaret.

Eppure c’è chi ci crede. C’è chi si aggrappa alla fantasia consolatoria che “si aggiusta tutto”. Anche quando la Diocesi ti manda l’ultimatum: otto giorni per restituire i locali. Anche quando il TAR scrive chiaro e tondo che non hai mosso un dito per regolarizzarti. Anche quando i ragazzi abbandonano la nave. In fondo, siamo il Paese che davanti a ogni crollo – politico, economico, scolastico – preferisce cercare il capro espiatorio, mai la radice del problema.

La verità, invece, è brutale: non si aggiusta niente. Non si aggiusta una scuola gestita per anni senza i requisiti minimi. Non si aggiusta un bilancio dissanguato. Non si aggiustano classi svuotate, insegnanti sottopagati, convenzioni evaporate. Non si aggiusta il comodato con la Diocesi che finiva con due parole scolpite in pietra: “scuola parificata”. Senza parità, ciao.

Insomma, la commedia italiana è sempre la stessa: si balla finché l’orchestra suona, si spera che arrivi il deus ex machina, si accusa chi racconta i fatti. Poi, quando cala il sipario, tutti a dire che “non era prevedibile”. E invece era tutto scritto, da mesi, anzi no, da anni, dal nostro primo articolo risalente al 2023. Solo che leggerlo era troppo faticoso.  

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori