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26 Agosto 2023 - 10:02
IN FOTO Il mercato torinese di Porta Palazzo in una rarissima fotografia risalente alla seconda metà del XIX secolo
Lo definirono il re di Porta Palazzo. E fu realmente un sovrano, anche se il suo trono poggiava sulle ceste di verdura fresca che i contadini del Torinese portavano ogni mattina in città. Francesco Cirio, a dire il vero, fu il re delle conserve. E non è male ricordarlo in questo fine agosto, il periodo in cui le massaie d’antan si dedicavano a preparare la salsa di pomodoro che, conservata in bottiglie e vasetti di vetro, avrebbe insaporito le pietanze per un intero anno.
IN FOTO Francesco Cirio (1836-1900)
Nato a Nizza Monferrato nel 1836 e morto nel 1900, figlio di un povero sensale di granaglie, Cirio divenne un «mostro del capitalismo imprenditoriale», come si legge nel sito Internet della città che gli diede i natali. Di lui scrisse un po’ retoricamente Paolo Boselli (1838-1932), presidente del consiglio dei ministri durante la Grande guerra: «Non suscitò con l’eloquenza l’entusiasmo che rapisce le menti, non sedette nelle aule di chi governa, ma diede nuovo impulso all’attività nazionale, additò nuove vie a lontani commerci, aprì alla produzione della nostra terra nuove fortune, insegnò come dal bacio del nostro sole e dal sorriso del nostro cielo non scendano solamente raggi di poesia, ma anche prerogative di ricchezza; beneficò i lavoratori della terra con l’accrescere il compenso delle loro fatiche».
Adolescente, trasferitosi a Torino col fratello maggiore, Francesco Cirio fu subito attratto dal mercato di Porta Palazzo, il cuore popolare della capitale sabauda. Ben presto iniziò a trafficare con le verdure, acquistate all’ingrosso e rivendute nei sobborghi. Gli affari prosperarono.
Cirio si trasferì a Nizza Marittima. Viaggiò parecchio. Parigi, Bruxelles, Vienna e Amsterdam furono le mete dei suoi itinerari di commercio. Fece tutto da sé, superando ostacoli in apparenza insormontabili per un provinciale del Monferrato. La fortuna era dalla sua parte: infatti conobbe il fiduciario dei banchieri Rothschild che gli fu prodigo di consigli per il trasporto delle merci all’estero.
Rientrato a Torino, Francesco Cirio prese in affitto una stanza al numero civico 34 di via Borgo Dora, a Porta Palazzo, e vi costruì un grosso camino con due caldaie. Si trattava di dare corpo all’idea della sua vita: conservare le verdure primaverili per rivenderle durante la stagione invernale.
Ma che cosa combinava Cirio?
Scrive argutamente Enrico Gianeri (1900-1984): «Rimestava con strani mestoli come un alchimista medioevale; pescava con un cucchiaione un intruglio di piselli, e li assaggiava. E poi stivava i piselli cotti in barattoli di latta che sigillava attentamente e riponeva in un canto. Quando riapriva quei barattoli e assaggiava i suoi piselli, o scoppiava in bestemmie feroci o innalzava laudi e urla di trionfo al cielo. Sinché le urla di trionfo soverchiarono le bestemmie, ed un bel giorno i barattoli comparvero sul suo bancherottolo a Porta Palazzo».
«Che cosa sono?», domandavano incuriosite le massaie.
«Piselli in scatola!».
Il successo di Francesco Cirio era decretato. L’intraprendente monferrino impiantò una fabbrica, assunse operai e tecnici, estese il campo ad altri generi (frutta e carne), aprendo un negozio in via Palazzo di Città.
Poi si trasferì in corso Moncalieri, quindi in fondo a via Nizza.
Annessa allo stabilimento vi era una tipografia dove venivano stampate le etichette dei barattoli e i primi manifesti pubblicitari.
Cirio presentò i propri prodotti in molte esposizioni internazionali, da Parigi ad Amsterdam (dove gli fu assegnata una medaglia d’oro con menzione solenne).
I barattoli di Cirio ormai viaggiavano in tutto il mondo, da Liverpool a Sidney, dall’Europa all’Oceania.
Infine l’industre monferrino decise di abbandonare le nebbie di Torino per Napoli, la terra dei pomodori che maturano al sole del Sud, pronti per essere chiusi in barattolo.
Morì il 9 gennaio 1900.
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