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25 Settembre 2025 - 18:32
Cento case chiuse, quindici famiglie senza tetto: a Venaria si dorme in macchina
Una donna dorme in macchina. Non è una metafora, non è un’immagine da romanzo. È la realtà che si consuma, notte dopo notte, nelle strade di Venaria. Non ha una casa, non ha un letto, non ha più un luogo che possa chiamare suo. Vive al volante, sui sedili posteriori, tra coperte improvvisate e finestre appannate dal respiro. Cerca ogni sera un posto diverso: una piazzola illuminata, un parcheggio tranquillo, una strada secondaria dove nessuno le chieda nulla. Si sposta continuamente, oggi qui, domani lì, perché la vergogna è un macigno che la schiaccia, perché non vuole essere riconosciuta. Eppure tutti lo sanno. Lo si dice sottovoce, lo si sussurra quasi con pudore: c’è una donna che dorme in macchina.
Il freddo entra dalle fessure, il corpo si piega in posizioni impossibili, il sonno non arriva mai davvero. Gli occhi restano aperti, in attesa, pronti a scattare a ogni rumore. È un’esistenza sospesa tra il pianto e la paura, tra il buio e l’alba che arriva sempre troppo presto. Vorrebbe denunciare, raccontare la sua condizione, trasformare la sua disperazione in un grido. Ma non ce la fa. La vergogna è più forte, la voce si spezza prima di uscire. Così rimane lì, chiusa in quell’abitacolo che è diventato prigione e rifugio allo stesso tempo.
E non è sola. Non è un caso isolato, un destino individuale. A Venaria ci sono almeno quindici famiglie in emergenza abitativa. Quindici nuclei che cercano un tetto, un riparo, un briciolo di stabilità. Non chiedono privilegi né lusso. Non vogliono regge, non sognano castelli. Chiedono solo una porta da chiudere a chiave, un letto su cui stendere i figli, una cucina per scaldare una minestra. Chiedono ciò che dovrebbe essere garantito per diritto, non elemosinato come favore.
Eppure il paradosso è sotto gli occhi di tutti: le case ci sono, ma sono chiuse. Cento alloggi popolari ATC sbarrati. Cinquanta già liberi, perché chi li abitava non c’è più. Altri deserti, in attesa di lavori, di fondi, di procedure. Appartamenti che invecchiano nel silenzio, con infissi che cadono a pezzi e interni che si rovinano giorno dopo giorno. E intanto fuori, nello stesso tempo, donne dormono in macchina, bambini vivono nell’incertezza, famiglie intere scompaiono tra precarietà e silenzi istituzionali. È la fotografia crudele di una società che lascia marcire il cemento mentre lascia morire di disperazione i suoi cittadini.
Tra queste famiglie c’è quella di Valentina Grasso. Una storia diversa, ma ugualmente dura. Valentina vive con il marito e il loro bambino. Non dorme in macchina, ma l’incertezza è la stessa, l’angoscia identica. Ha bussato più volte in Comune, ha fatto telefonate, ha atteso con pazienza. La risposta è sempre stata uguale, secca, tagliente, quasi imparata a memoria: “Non abbiamo la bacchetta magica”. Parole che congelano il cuore, che spengono le speranze, che trasformano la politica in un muro sordo. Non una proposta, non un gesto, non un tentativo. Solo frasi che umiliano.
“Qualcuno mi ha detto di arrangiarmi”, racconta. Altri, con una leggerezza che sa di cattiveria, le hanno consigliato di andare a vivere dalla nonna, in montagna. Ma suo figlio va a scuola a Venaria, ha i compagni, le maestre, i giochi. Col cavolo, risponde Valentina. Non è un capriccio, è un diritto.
E così, ogni giorno, la trafila si ripete: telefoni, non rispondono. Vai di persona, ti liquidano con un burocratico “non abbiamo l’obbligo di rispondere ai cittadini”. È una frase che sembra uscita da un manuale del disprezzo, un insulto che cancella il senso stesso di comunità. Perché una città non è fatta di uffici e carte bollate: è fatta di volti, di bambini che ti guardano negli occhi e chiedono: “Mamma, dove dormiamo stasera?”.
Lunedì tutto questo approderà in Consiglio comunale. Ci sarà un’interrogazione della lista civica. Si discuterà dei cento alloggi chiusi, delle cinquanta case già vuote, delle quindici famiglie disperate. Saranno numeri, grafici, statistiche. Ma dietro quei numeri ci sono storie che strappano il cuore. C’è una donna che piange nel buio di una macchina. C’è Valentina che ogni giorno deve stringere i denti davanti al figlio, fingere di avere soluzioni che non ha. Ci sono padri che si vergognano di non poter garantire ciò che i loro stessi genitori avevano dato loro senza fatica: una casa.
Qualcuno ha perfino parlato di autorecupero: le famiglie potrebbero rimettere a posto gli alloggi a proprie spese, con un investimento di settemila, ottomila euro. Ma come può chi non ha nemmeno un letto permettersi una cifra simile? È l’ennesima promessa amara, l’ennesimo sogno che resta irraggiungibile.
Per ora Valentina ha trovato chi la ospita. Una parentesi, un letto temporaneo. Ma domani? Domani tutto potrebbe svanire, e resterebbe solo la precarietà, la paura, il vuoto. È questo il dramma che nessuna bacchetta magica, nessuna dichiarazione ufficiale, nessuna seduta di Consiglio potrà cancellare. È il dramma di una comunità che lascia le sue famiglie più fragili a galleggiare nel nulla, che preferisce chiudere gli occhi piuttosto che aprire una porta.
E intanto, a Venaria, una donna continua a piangere nella sua macchina. Con la testa appoggiata al volante, il cuore spezzato e la città che fa finta di non vedere.
LA VOCE DEL CANAVESE
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