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16 Ottobre 2025 - 12:04
Settimo Torinese, il Centro del Riuso da 443 mila euro. E il riuso finisce… nel cesso del buon senso
Premessa. Il concetto del riuso è nobile. Davvero. Chi oserebbe mai criticare l’idea di dare nuova vita agli oggetti, ridurre i rifiuti, salvare il pianeta e – perché no – anche l’anima? Nessuno.
Ma c'è una notizia. Hanno speso: 443 mila euro.
Porca zozza (per restare educati). Quattrocentoquarantatremila euro per costruire il “Centro del Riuso” di Settimo Torinese. Una cifra che fa tremare le vene ai polsi. Un monumento al delirio amministrativo, un insulto alla logica e, soprattutto, alla nostra intelligenza.
Dateci un pizzicotto. Diteci che non è vero. Fate qualcosa, sant’Iddio.
Potevano almeno evitare di dirlo. Restare zitti, aspettare che un giornalista la scovasse, e poi liquidare tutto con il solito “quel giornale scrive solo cazzate”.
Invece no: si sono autodenunciati con orgoglio. E questo la dice lunga su quanto siano tremendamente distanti dalla vita reale, di come abbiano perso il senso della misura e del valore dei soldi.
Perché, diciamolo, il problema non è il riuso in sé, ma come lo si fa.
In mezza Europa, i centri del riuso sono garage polverosi, vecchi magazzini comunali con un cartello scritto a mano: “Prendi ciò che vuoi, lascia ciò che puoi.”
A Settimo, invece, la città "bella da vivere che spende e spande a più non posso" si è scelto il modello opposto: una boutique del riciclo, un tempio lucido e costoso dove la sostenibilità sembra più un pretesto che una convinzione.
Il nuovo centro, in via Ratera, è gestito dalla Cooperativa Arcobaleno e realizzato dal Consorzio di Bacino 16 con fondi Pnrr, per conto di Seta Spa, la municipalizzata che gestisce i rifiuti.
Già, Seta. Quella che dovrebbe occuparsi di svuotare, pulire e igienizzare i cassonetti, ha deciso che la priorità era costruire il negozio dell’usato più “in” d’Italia.
E con quei soldi? Con 443 mila euro si potevano realizzare isole ecologiche interrate, eliminare le isole ecologiche da terzo mondo, “sfrattando” anche qualche colonia di topi. Ma no: meglio un “centro del riuso” da copertina.
All’inaugurazione, manco a dirlo, Elena Piastra c’era. Eccome se c’era. Sorridente come sempre. Sorridente più che mai.
La sindaca con gli stivali, sempre pronta ai selfie: che sia un marciapiede, un lampione o – come in questo caso – un negozio, l’importante è esserci.
E poi le dichiarazioni d’ordinanza.
«Il centro accresce i servizi e promuove abitudini virtuose», ha spiegato l’assessore all’Ambiente Arnaldo Cirillo.
Virtuose sì, ma costose.
Allineato e coperto il presidente di Seta Spa, Massimo Bergamini, con la solita litania sulla “riduzione dei rifiuti e la convenienza per chi cerca oggetti funzionanti a basso costo.”
A basso costo per chi compra, forse. Ma per chi paga le tasse, il conto è salatissimo.
Perché quel Pnrr, spacciato come “pioggia di soldi europei”, in realtà è un debito che pagheremo tutti. Anche quelli che abitano davanti a cassonetti traboccanti e alle isole ecologiche da terzo mondo.
Insomma, un capolavoro: per combattere lo spreco, si è sprecato.
Per insegnare a riciclare, si è buttato via il buon senso.
Per ridurre i rifiuti, si sono spesi quasi mezzo milione di euro.
E poi ci si chiede perché la gente sbuffa, si indigna, si arrabbia, si incazza.
In Olanda o in Danimarca, i centri del riuso sono contenitori sociali, non showroom. Lì si lavora con ciò che si ha: materiali recuperati, partecipazione dei cittadini, collaborazione con le associazioni.
A Settimo, invece, si è “investito” nel solito green di facciata, sulla sostenibilità da catalogo.
All’inaugurazione mancavano solo i coriandoli e la musica dei Coldplay in sottofondo.
Fuori, intanto, i marciapiedi restano dissestati, i cestini pieni, le erbacce alte mezzo metro.
Ma va bene così: adesso c’è il nostro “Centro del Riuso”.
Lì potremo portare il vecchio tostapane, la sedia traballante e, chissà, magari anche un po’ di dignità amministrativa, se qualcuno la troverà ancora funzionante.
Insomma, il riuso è una cosa seria. Peccato che a Settimo sia diventato l’ennesima dimostrazione di una politica che confonde l’ecologia con la scenografia. E allora sì: tanto di cappello all’idea.
In fondo, l’idea è brillante: fare un posto dove tutto può avere una seconda vita.
Tranne il denaro pubblico, che una volta speso non torna più.
Ma chissà, magari un giorno anche quello finirà sullo scaffale del Centro, etichettato: “usato poco, sprecato tanto.”
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