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Quando il macellaio si chiamava "beccaio"

Sulle macellerie o beccherie di Settimo Torinese fanno riferimento numerose fonti d’archivio degli ultimi secoli

IN FOTO L’insegna di un’antica beccheria a Roma

IN FOTO L’insegna di un’antica beccheria a Roma

Le polemiche degli ultimi mesi sulla cosiddetta carne sintetica, già commercializzata negli Stati Uniti, in Israele e in alcune nazioni asiatiche, riportano d’attualità le norme igienico-sanitarie (ma anche le disposizioni in materia di prezzi) che le antiche generazioni, mosse da buon senso e spirito pratico, avevano provveduto a emanare. Altroché il business della bistecca creata in laboratorio!

IN FOTO L’antica macelleria Destefanis nell’attuale via Roma a Settimo Torinese

È sempre istruttivo buttare un occhio sui testi degli statuti piemontesi – e canavesani, in particolare – del tardo Medioevo e sui bandi campestri di epoca posteriore. Alle macellerie o beccherie di Settimo Torinese, per esemplificare, fanno riferimento numerose fonti d’archivio degli ultimi secoli. I bandi campestri del 1739, ad esempio, imponevano ai macellai di «tenere li pesi e misure giuste e bollate in ogni anno», mentre nel consegnamento feudale (una sorta di autodichiarazione) del conte Alessandro Gattinara Lignana (20 gennaio 1570) si precisa che i signori avevano il diritto di acquistare la carne a prezzo ridotto, senza pagare il dazio.

I documenti più significativi sono i verbali di deliberazione del consiglio comunale di Settimo per l’incanto della beccheria (cioè del macello), nel 1608. Si tratta di fonti interessanti sia per conoscere gli obblighi a cui era soggetto il macellaio di una piccola comunità di provincia sia per fare luce sulle prescrizioni igieniche e sulle abitudini alimentari dell’epoca. Dal regolamento allegato a uno dei verbali emerge, in primo luogo, la preoccupazione di tutelare il beccaio o macellaio del paese da ogni forma di concorrenza. «Sia lecito a tutti salvo alli osti – stabilirono i pubblici amministratori – d’ammazzare carni grosse e porci per uso loro e dividerle» fra più persone, ma non venderle.

Agli osti non era permesso «ammazzare più d’un porco et d’una bestia grossa», tranne quando bisognava preparare un banchetto nuziale. Nessuno, inoltre, poteva «accomprar carni fuori di Settimo più di tre livre», con l’eccezione di un capretto per la Pasqua e di un agnello per le feste natalizie e per il Carnevale. Solo «occorrendo far nozze, batezaglie [battesimi], funerali et altri onori», ai settimesi era consentito macellare senza restrizioni.

Il martedì e il sabato erano i giorni stabiliti per l’abbattimento dei bovini. L’operazione si effettuava nel mattatoio pubblico «et non altrove, sotto pena di scudi dieci d’oro». Nei mesi di giugno, luglio e agosto, il beccaio non poteva smerciare «altra carne che di vitello da latte». Assoluto era il divieto di abbattere e di vendere «bestie morbose».

Il prezzo della carne veniva stabilito dalle autorità municipali. «Potrà il macellaro – si legge nel citato regolamento – vender le carni da latte grosse soldi due per livra, et l’altra al estimo delli sindici o deputati, sotto pena di livre tre per ogni volta, et la carne grossa il macellaro non potrà venderla nanti sia estimata dalli estimatori del presente luogo, et essa la venderà conforme alla tassa» stabilita.

Per servire i clienti il beccaio disponeva della stadera di proprietà comunale: ovviamente doveva «far giusto peso conforme al ordine», ponendo in vendita le diverse qualità di carne «al prezzo loro», astenendosi dalla tentazione di effettuare un’unica pesata. «Mancando il macellaro di mantener carni da latte in sufficienza», era facoltà dei sindaci incaricare «persone che debbono ammazzare» di «mantener et vender carni da latte senza pagamento alcuno di gabella». In tal caso al beccaio era espressamente proibito macellare altri vitelli prima che tutta la carne non fosse stata smaltita. Infine, «quando occorrerà venir soldati – che Iddio non voglia – sarà tenuto [il macellaio] provveder carne da latte in sufficienza, sotto pena di livre dieci ducali per ogni volta».

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