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Cronca
14 Ottobre 2025 - 11:38
Pazienti zuppi di pipì, campanelli staccati, infermieri che dormono e non sanno usare l’ossigeno
C’è chi parlava di “eroi del Covid”.
E poi c’era chi lo viveva davvero, quel reparto.
Non con le medaglie, ma con i guanti zuppi, i turni infiniti e la vergogna negli occhi.
Perché dentro quelle stanze dell’ospedale di Settimo Torinese non c’era nessuna gloria, nessuna retorica da balcone. C’era la realtà. Cruda, sudicia, scomoda.
E oggi, quella realtà, è finita nero su bianco nei fascicoli giudiziari.
Quelle chat interne tra operatori socio-sanitari, scambiate nei giorni più drammatici della pandemia, sono ora agli atti del processo che sta mandando in tilt tutta l’ASL To4, quello che i corridoi ormai tutti i giornali chiamano “lo scandalo della cricca”.
Un sistema di silenzi, coperture, favori e clientele che parte dagli uffici e finisce dentro le corsie.
E quelle chat, nate per sfogarsi tra colleghi, sono diventate prove di un meccanismo marcio, che per anni ha protetto l’incompetenza e punito chi diceva la verità.
Un inferno fatto di incuria, ignoranza e paura.
“Era da rabbrividire,” scrive una Oss dopo una notte passata in reparto. “I pazienti erano in condizioni disumane. Ho dovuto chiamare una collega di un altro nucleo per farmi aiutare. Questi non hanno coscienza. È vergognoso lasciare le persone così, spegnere i campanelli e dire ‘sei asciutta’ solo per non alzarsi.”
E non è un episodio isolato. Le testimonianze scorrono una dopo l’altra come un rosario dell’orrore:
“Erano completamente zuppi con le traverse fino alla testa.”
“Uno non riesce a trovare mezz’ora per cambiare i pazienti, ma per dormire sì.”
“Una povera signora tremava, tutta zuppa di pipì.”
“La collega mi ha detto che la paziente beve tanto, le ho risposto che che cazzo c’entra, in francese.”
Ogni messaggio è una coltellata. Ogni frase un frammento di disumanità.
Dietro le mascherine, c’era chi avrebbe dovuto garantire assistenza, dignità, vita.
Invece, a quanto pare, c’era chi non sapeva nemmeno da dove cominciare.
“L’infermiera non ha fatto il giro, diceva di avere altro da fare.”
“Non sanno attaccare l’ossigeno.”
“Non sanno usare l’aspiratore, gliel’ho dovuto spiegare io.”
E poi il paradosso: “Questi non parlano neanche una parola d’italiano. Come fanno ad affrontare una terapia?”
In mezzo, la rabbia. La sensazione di impotenza. La certezza che nessuno, ai piani alti, volesse davvero sapere.
C’è tutto, in quelle chat: il dramma umano, la paura, la stanchezza e l’abbandono.
Un’operatrice scrive: “Vi autorizzo a farmi leggere tutto alla direzione?”
E un’altra, con lucidità glaciale, risponde: “E a che serve? Loro lo sanno già. Stiamo a guardare come muoiono.”
E mentre l’ASL To4 chiudeva gli occhi, nei corridoi del reparto Covid si consumava la quotidianità dello scandalo.
Chi era ai piani alti, oggi indagato o chiamato a rispondere davanti ai giudici, sembra essersi preoccupato più di coprire che di risolvere.
“Togliamo le persone che non lavorano fisse con noi. Non prendetevela a male, per favore.”
Una frase che oggi, letta negli atti processuali, suona come un ordine: tacere, proteggere, salvare le apparenze.
Eppure, dentro, c’erano anche i lavoratori veri.
Quelli che nonostante tutto continuavano a fare il loro mestiere, a pulire, a cambiare, a consolare.
“Noi agiamo per coscienza,” scrive una. “Se abbiamo un minimo di etica professionale, dobbiamo fare noi i controlli.”
Già, perché di controlli ufficiali non ne parla nessuno.
E così le notti passano tra campanelli staccati, giri mai fatti e letti inzuppati.
“L’unico infermiere che c’era indossava solo il camice verde, senza tuta, senza calzari, senza cuffia. Gli ho detto io di buttare i pannoloni nei sanibox.”
Il quadro è devastante.
“Abbiamo trovato flebo chiuse da ieri. Le pazienti erano ferme lì, come oggetti.”
Oggetti, non persone.
E nel frattempo, in alto, si firmavano contratti con CM Service, l'azienda di Cascinette d'Ivrea, si costruivano carriere, si premiavano fedeltà.
Ora quelle stesse voci, che allora venivano ignorate o ridicolizzate, sono finite nelle mani dei magistrati.
E l’ASL To4 trema.
Perché quelle frasi – scritte di notte, tra un pianto e un turno massacrante – non sono più solo sfoghi.
Sono prove. Prove di un sistema che, mentre raccontava al mondo la favola dell’eroismo sanitario, lasciava morire la dignità dei suoi pazienti.
C’è chi oggi parla di “mele marce”, chi prova a scaricare, chi giura di non sapere.
Ma a Settimo Torinese, nel reparto Covid del 2021, non si è perso solo il controllo.
Si è persa l’anima.
E se qualcuno, ancora oggi, ha il coraggio di parlare di “eroi”, dovrebbe prima leggere queste righe.
Le parole scritte di notte, dopo un turno disumano, da chi era lì davvero, mentre fuori la gente applaudiva dai balconi e la televisione celebrava il “modello Piemonte”.
Dentro, invece, c’erano i guanti pieni di urina, la nausea, la vergogna e la certezza di essere soli, completamente soli, in un posto dove persino la dignità aveva smesso di respirare.
L'ELENCO DEGL INDAGATI
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