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La chiamavano sanità: i soldi per i medici "regalati" agli impiegati

Dal fondo di perequazione usato come bancomat agli errori sul Balduzzi, dalla consulenza che cancella crediti al nuovo fascicolo della Procura: un sistema che per anni ha truccato numeri, mascherato buchi e ignorato controlli. Ora la Guardia di Finanza mette ordine dove la politica ha chiuso gli occhi

Guardia di Finanza

Controlli della guardia di finanza

La Guardia di Finanza ha cominciato a rovistare tra le carte portate via dalla Città della Salute di corso Bramante, su disposizione della Procura di Torino. Il loro compito è ricostruire anni di numeri, regolamenti, decisioni e omissioni che ruotano attorno ai fondi destinati all’intramoenia, a partire dal famigerato fondo di perequazione, nato per compensare i medici impossibilitati a svolgere l’attività privata e diventato, nel tempo, un bacino ben più ampio del previsto. Secondo gli inquirenti, quel fondo si sarebbe trasformato in un serbatoio capace di alimentare stipendi e indennità a categorie del tutto estranee alla professione sanitaria: uffici amministrativi, relazioni con il pubblico, economato, recupero crediti, affari legali.

L’allegra “distribuzione” comincia nel gennaio 2016, quando l’allora direttore generale Gian Paolo Zanetta firma un accordo che apre il fondo anche a personale privo di qualsiasi legame con l’attività sanitaria. Una scelta che oggi lascia interdetti perfino diversi sindacati dei camici bianchi, convinti di non essere mai stati informati di una interpretazione così elastica della normativa.

Tutto questo si aggiunge alle “ipotesi” sul Fondo Balduzzi, da cui mancano all’appello 7 milioni mai incassati in un decennio, e al bilancio 2024 firmato dal direttore generale Livio Tranchida, che il 4 novembre ha cancellato l’intera somma ritenendo quel credito ormai inesigibile.

La storia dei mancati incassi del Fondo Balduzzi affonda le radici in un dettaglio che sfiora il grottesco: nel 2014-2015, quando viene approvata la delibera sulla libera professione.  L’accordo sindacale da cui tutto discende — siglato con Anaao Assomed — porta le firme di Gian Paolo Zanetta e del direttore amministrativo Andrea Bosano, ma sembrano mancare le deliberazioni aziendali che avrebbero dovuto recepirlo formalmente. Senza quel passaggio, la trattenuta del 5% sulle prestazioni dei medici potrebbe non essere mai esistita giuridicamente. Sette milioni di euro che evaporano per un errore burocratico.

Morale? L’attività intramoenia, che per legge dovrebbe almeno pareggiare, nel 2024 è addirittura andata in rosso di oltre 400 mila euro. Un risultato vietato dalle norme, che ha costretto la direzione a convocare tavoli d’urgenza per ritoccare subito le tariffe delle prestazioni a pagamento. Se l’accordo con i sindacati non arriverà, la Città della Salute sarà costretta a sospendere l’intramoenia: un paradosso per un sistema che dovrebbe generare entrate, non perdite.

I sostituti procuratori Mario Bendoni e Giulia Rizzo, coordinati dal procuratore capo Giovanni Bombardieri, hanno aperto un fascicolo “modello 45”: nessun indagato, nessuna ipotesi di reato, ma il chiaro intento di approfondire elementi emersi durante l’udienza preliminare conclusa il 20 novembre.

Al centro dell’attenzione c’è una relazione redatta da Davide Di Russo, incaricato dall’assessorato regionale alla Sanità Federico Riboldi in vista dell’approvazione del bilancio. Consegnata il 31 ottobre, sostiene che i 1,73 milioni del Fondo Balduzzi relativi alle prestazioni intramoenia mai riscosse non possono essere considerati né come crediti esigibili né come diritti dell’azienda. In questa lettura, non solo sarebbe errata la formulazione del capo d’imputazione del pm Paolo Gherpelli, ma l’ente stesso non avrebbe mai avuto titolo per pretendere quelle somme.

È proprio sulla base di questa interpretazione che il direttore generale Livio Tranchida, il 4 novembre, ha presentato il bilancio “ripulito” da quel credito, cancellando l’intero importo dal rendiconto.

Lo scenario richiama le parole dell’ex commissario Thomas Schael, che aveva promesso una revisione «senza scorciatoie». Oggi quella promessa sembra quasi una profezia. Dopo l’approvazione del collegio sindacale (non si sa se ci siano rilievi o raccomandazioni) il bilancio dovrà ora essere validato dal direttore generale della Sanità piemontese Antonino Sottile, prima che la giunta di Alberto Cirio possa esprimersi. Pesa l’incognita del Ministero dell’Economia, che dovrà esaminare il consolidato della sanità piemontese: la dicitura “sette milioni eliminati” potrebbe non essere accolta con entusiasmo.

La Procura indaga e la politica scalpita. E' di queste ore un’interrogazione all’assessore Federico Riboldi della pentastellata Sarah Disabato.

«La scorsa settimana — dice — avevamo chiesto chiarimenti sui 7 milioni di euro di buco per l’intramoenia nel bilancio di Città della Salute e su come la Giunta Cirio intendesse intervenire per ripianare i debiti delle aziende sanitarie piemontesi. A quelle interrogazioni, manco a dirlo, avevamo ricevuto risposte totalmente insoddisfacenti ed elusive. Zero chiarezza, zero trasparenza, nonostante la firma in pompa magna del bilancio 2024 da parte del direttore generale Tranchida.
Oggi apprendiamo che la Guardia di Finanza ha acquisito il bilancio e tutti gli atti relativi. Non vogliamo sostituirci alla magistratura e a chi è deputato a fare le indagini, ma non possiamo non opporci al silenzio che è calato in Consiglio regionale sul tema. Oggi più che mai è necessario che la Giunta Cirio chiarisca una volta per tutte qual è la situazione della sanità piemontese e cosa sta succedendo nell’azienda sanitaria più grande della nostra Regione».

Sullo sfondo rimane l’eco dell’inchiesta madre: quella che ha portato a sedici richieste di rinvio a giudizio per ex dirigenti accusati di falso in bilancio e truffa aggravata, con crediti non riscossi vicini ai dieci milioni e anomalie contabili che, in alcune valutazioni, superano i cento milioni di euro. Il processo inizierà il 5 febbraio.

Il filone principale

Il danno ipotizzato dalla Procura di Torino nel primo filone di indagine oscilla, secondo ricostruzioni diverse, dai 7,3 milioni contestati in sede pennale ai 10 milioni della documentazione più recente, fino a stime tecniche che parlano perfino di 120 milioni nel complessivo arco temporale. Una forbice che fa venire il mal di testa, ma che conferma una cosa: quando i numeri non sono veri, tutto il resto si sfalda.

Il sistema, dicono gli inquirenti, era semplice. Semplice e geniale, se non fosse illegale: si prendevano i questionari Alpi — quelli che servono per monitorare la libera professione — e li si “aggiustava”. Un ritocchino qui, un numero abbellito là, una dichiarazione un po’ più brillante rispetto alla realtà.

Il risultato? Una fotografia impeccabile, peccato che fosse scattata con Photoshop. A compilare quei documenti c’era Davide Benedetto; ad avvallarli Rosa Alessandra Brusco; a firmarli e mandarli a Torino e Roma i direttori generali Gian Paolo Zanetta, Silvio Falco e Giovanni La Valle. Tutti oggi imputati. Ma la domanda non è «chi firmava»: la domanda è «chi non lo sapeva?». Secondo la Procura, praticamente nessuno.

Riboldi e Schael

L'assessore regionale alla sanità e l'ex commissario Thomas Schael

Il danno stimato è di circa 10 milioni di euro, di cui 7,5 legati alla libera professione intramoenia e alla mancata applicazione del decreto Balduzzi, che prevedeva una trattenuta del 5% a favore dell’azienda sanitaria. Una trattenuta che, secondo l’accusa, non è mai stata versata.

E infatti i numeri “creativi” non si fermavano certo al maquillage formale: nel 2014 l’azienda dichiarava di possedere una contabilità analitica da manuale universitario, così sofisticata da distinguere ogni singola voce di costo. Peccato che, dicono i pm, non esistesse. Dal 2015 al 2020 veniva certificata la presenza di un organismo di verifica dell’attività intramoenia: peccato che abbia funzionato solo nel 2017. Quanto alla trattenuta del 5% prevista dalla Balduzzi, dichiarata come applicata per anni, la Procura è lapidaria: non era vero.

Durante la prima udienza preliminare la Regione Piemonte si è costituita parte civile — e paradossalmente anche responsabile civile. Insieme a lei si sono schierati i sindacati dei medici Anaao Assomed, Aaroi-Emac, Cimo e persino l’attuale dirigenza della Città della Salute, che oggi si proclama “parte lesa” dalle gestioni precedenti. Tutte richieste accolte dal giudice. È la scena surreale di una sanità che litiga con se stessa: chi ieri avallava, oggi chiede i danni; chi un anno fa sosteneva la solidità dei conti, ora ringhia in tribunale per esserne stato tradito.

Gli imputati? Una lista che sembra più la scaletta di un congresso di management sanitario che la consegna degli avvisi di garanzia: Giovanni La Valle (oggi Asl To3), Gian Paolo Zanetta (Cottolengo), Silvio Falco, Beatrice Borghese, Nunzio Vistato, Valter Alpe (ora ad Alessandria), Rosa Alessandra Brusco, Davide Benedetto, Maria Albertazzi. Con loro anche il collegio sindacale, che secondo la Procura avrebbe “omesso di vedere”: Alessia Vaccaro, Renato Stradella, Paolo Biancone, Andreana Bossola, Giacomo Buchi, Andrea Remonato e Giuseppe Antonio Giuliano Stillitano. Insomma, una formazione completa: primari, dirigenti, tecnici, sindaci revisori. Si potrebbe quasi organizzare un convegno sul tema: “Come non controllare un bilancio sanitario”.

La prima udienza del processo è fissata per il 5 febbraio 2026, ma il terremoto contabile ha già prodotto le sue scosse. Nel bilancio 2024 il Fondo Balduzzi è stato “cancellato” perché “erroneamente iscritto” negli anni passati.

La sensazione è che si navighi a vista, con il timone fermo e lo sguardo rivolto non ai conti, ma al calendario giudiziario.

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