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Cronaca
06 Novembre 2025 - 00:40
Tragedia a Santa Rita: studentessa di 14 anni si toglie la vita lanciandosi dal nono piano
TORINO. Nessuno, in quel palazzo di Santa Rita, si sarebbe mai aspettato che un pomeriggio qualunque potesse trasformarsi in una ferita così profonda. Una giornata di novembre come tante: il cielo grigio, le voci dei bambini nel cortile, il profumo di caffè che usciva dalle cucine. Poi, all’improvviso, il silenzio. E un dolore che nessuno dimenticherà più.
Una ragazza di quattordici anni, studentessa del primo anno di liceo scientifico, si è tolta la vita lanciandosi dal nono piano del condominio dove viveva con i genitori. Un gesto che ha lasciato tutti senza respiro, senza parole, senza spiegazioni.
La tragedia è avvenuta nel pomeriggio. La giovane era tornata da scuola serena, raccontano i vicini, e dopo pranzo si era chiusa nella sua stanza per studiare. La madre era uscita per lavoro, il padre era in casa. A lui aveva detto di voler fare un salto fuori, «giusto per prendere un gelato». Poi aveva preso le chiavi, aveva salutato come sempre, e si era chiusa la porta alle spalle. Ma invece di scendere in strada, aveva premuto il pulsante dell’ascensore per salire. Fino in cima.

Sul nono piano, dove non abitava nessuno che la conoscesse, ha aperto una finestra che dà sul cortile interno. Nessuno l’ha sentita gridare, nessuno ha capito cosa stesse accadendo. Solo, più tardi, qualcuno ha detto di aver udito un rumore sordo, forse uno schianto. Ma a Santa Rita i cortili sono pieni di suoni: portiere che si chiudono, carrelli che passano, ragazzi che rientrano. E quel tonfo, se c’è stato, si è confuso dentro la vita di un condominio.
È stata la madre, tornando a casa verso sera, a scoprire la scena. Entrando nel cortile con la macchina, i fari hanno illuminato qualcosa a terra. In pochi secondi ha capito. Ha urlato, ha chiesto aiuto, e il quartiere si è svegliato in un incubo. Sono arrivati i soccorsi, la polizia, la scientifica. Ma non c’era già più nulla da fare. L’ambulanza è rimasta ferma in strada per ore, mentre gli agenti cercavano di mettere ordine in quella disperazione che travolge tutto, anche le parole.
Chi la conosceva la descrive come una ragazza solare, dolce, piena di curiosità. Amava lo sport, la vita all’aria aperta, i pomeriggi in bicicletta con le amiche. Non c’erano segnali evidenti, dicono. Nulla che potesse far pensare a un disagio profondo. Forse qualcosa si nascondeva dietro la sua riservatezza, nei silenzi lunghi tipici dell’adolescenza, nelle fragilità che restano invisibili agli adulti, perfino ai genitori che pure la amavano sopra ogni cosa.
Nell’appartamento, gli agenti della Mobile hanno trascorso la serata cercando di capire. Nessun biglietto, nessun messaggio. Solo un computer, un telefono, una cameretta ordinata, con i libri di scuola aperti sulla scrivania e i sogni interrotti di chi aveva appena iniziato a vivere. Gli investigatori analizzeranno tutto, ma è difficile che una risposta arrivi davvero. Perché certe decisioni nascono in un buio che gli altri non vedono, e non sempre lasciano indizi.
Ieri, nel quartiere, la notizia si è sparsa in fretta. Davanti al portone, tra i vasi di piante e i motorini parcheggiati, qualcuno ha lasciato dei fiori. C’è chi prega in silenzio, chi scuote la testa, chi dice soltanto «una brava ragazza, le volevano tutti bene». Gli abitanti si parlano a bassa voce, come se il dolore potesse svegliarsi ancora. Un condomino anziano si ferma a guardare la finestra del nono piano: «Da lì il cielo sembra più vicino. Forse è per quello che l’ha scelta», sussurra.
Ora resta una famiglia distrutta, una comunità che si interroga e una domanda che pesa più di tutto: come è possibile che nessuno abbia capito?
Forse, come accade troppe volte, dietro un sorriso si nasconde un mondo di solitudine. E forse è proprio questo il dramma più grande: non aver saputo ascoltare in tempo quel silenzio che chiedeva aiuto.
LA VOCE DEL CANAVESE
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