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Per chi suona la campana
17 Luglio 2023 - 15:57
Di monsignor Luigi Bettazzi, scomparso alla soglia dei 100 anni, tutti diranno di tutto e per giorni e giorni si innalzeranno i panegirici al simbolo del progressismo cattolico, al profeta del Concilio, al vescovo rosso, all’alfiere del pacifismo etc.
Ce ne vorrà di tempo - e ci sarà tempo - per un profilo critico di un personaggio che ha lasciato una traccia nel mondo cattolico e anche nel dibattito pubblico italiano.
Noi, modestamente, vorremmo iniziare a portare un piccolo contributo partendo dal suo episcopato eporediese, quell’alma diocesi dove il giovane ausiliare di Bologna, nato nel 1923, ordinato sacerdote nel 1946 e all’episcopato nel 1963, approdò nel lontano anno 1966 quando i preti erano quasi 246, le parrocchie 146 e il ancora seminario pieno, dove la Olivetti era la grande industria del territorio e dava lavoro a tutto il Canavese e la Lancia di Chivasso si era appena insediata attirando migliaia di immigrati.
Un altro mondo insomma. Il concilio si era chiuso da un anno e le speranze erano molte, la contestazione era alle porte. L’ingresso ad Ivrea del giovane e aitante monsignor Bettazzi in cappa magna e manto di ermellino, accolto dalle autorità e dal giovane deputato Carlo Donat Cattin, avvenne il 15 gennaio 1967 suscitando subito l’entusiasmo generale.
Bolognese, ma di ascendenze piemontesi, Bettazzi arrivava ad Ivrea succedendo all’austero e poco loquace monsignor Albino Mensa (1916-1998 ) traslato come arcivescovo metropolita a Vercelli e il paragone fu inevitabile.
Il nuovo presule era un brillante e facondo parlatore ma soprattutto arrivava in Canavese con l’aura di essere stato l’ausiliare del cardinale Lercaro che aveva come vicario generale nientemeno che don Giuseppe Dossetti il quale, prima di farsi prete, era stato parlamentare, vicesegretario della Dc e aveva letteralmente scritto e ispirato la Costituzione.
Bettazzi arrivò con un obiettivo preciso: dare attuazione al Concilio - che egli aveva inteso come una «rivoluzione copernicana» e un «nuovo inizio» - al quale aveva partecipato per tre sessioni e in cui aveva prese tre volte la parola e dove aderì al mitico e mitizzato «patto delle catacombe di Domitilla» in cui si auspicava una Chiesa povera e libera. Fu quindi chiaro da subito che con un tale pedigree, Ivrea sarebbe stata sempre stretta al nuovo vescovo e qui emerge un aspetto che di solito ai suoi moltissimi fans appare poco conosciuto e cioè proprio il suo rapporto con la diocesi, da lui molto amata e seguita, ma con la quale, paradossalmente, ebbe sempre un certo distacco e questo si coglie in un aspetto che per un vescovo non è secondario e cioè quello del governo.
Nei suoi 33 anni di episcopato eporediese, la sua proiezione esterna dovuta alla cariche che ricoprì – prima fra tutte quella di presidente di Pax Christi dal 1968 al 1985 e che gli permisero di viaggiare in tutto il mondo- fu prevalente. Il governo quotidiano fu quindi affidato ai vicari generali da lui intelligentemente scelti e che spesso non riflettevano sempre la sua linea. Ma di tutto questo ne parleremo nelle puntate successive.
(continua la prossima settimana)
* Frà Martino
Chi è Fra Martino? Un parroco? Un esperto di chiesa? Uno che origlia? Uno che si diverte è basta? Che si tratti di uno pseudonimo è chiaro, così com’è chiaro che ha deciso di fare suonare le campane tutte le domeniche... Ci racconterà di vescovi, preti e cardinali fin dentro ai loro più reconditi segreti. E sarà una messa non certo una santa messa, Amen
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