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L'avvocato risponde
15 Giugno 2023 - 17:42
Giudice (foto di repertorio)
L’ordinamento penale italiano consente a chi è indagato o imputato in un procedimento penale di avvalersi della facoltà di non rispondere sui fatti che gli vengono contestati, oltre che di quella di mentire in merito (laddove intenda parlare) senza incorrere in alcuna responsabilità, in quanto tali scelte sono ritenute una estrinsecazione dell’esercizio del diritto di difesa sancito all’articolo 24 della nostra Costituzione.
Le richiamate garanzie non sono, tuttavia, riconosciute con riferimento alle generalità e quant’altro vale ad identificare l’indagato/ imputato il quale , pertanto, dovrà necessariamente fornirle , e anche in modo veritiero, per non incorrere nell’ascrizione della responsabilità per il reato di false attestazione al pubblico ufficiale sulla propria identità o qualità personali previsto dal codice penale all’art. 495.
Invero, molto recentemente la Corte Costituzionale, con una sentenza depositata il 5 giugno scorso, è stata chiamata a pronunciarsi sulla conformità ai principi costituzionali dell’articolo per ultimo citato , nonché dell’articolo 64 del codice di procedura penale, che prevede che l’indagato/imputato debba essere avvertito della facoltà di non rispondere.
Nello specifico, la Corte ha dichiarato illegittimo l’articolo 64 cit. nella parte in cui non prevede che gli avvertimenti all’indagato (o imputato) sul suo diritto al silenzio involgano non solo i fatti contestati ma, altresì, le informazioni personali diverse dalle strette generalità ( nome, cognome, luogo e data di nascita).
Allo stesso tempo ha statuito altresì la illegittimità della fattispecie incriminatrice summenzionata laddove non esclude la punibilità dell’indagato o imputato che, non previamente avvertito della possibilità di non rispondere sulle informazioni personali diverse dalle strette generalità, le renda false.
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