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18 Marzo 2023 - 17:29
Donne della Torino risorgimentale: la curiosità femminile in un disegno di Casimiro Teja (strenna del Fischietto, 1858, Biblioteca Civica di Torino). Tratta da Fomne danà. Delitti al femminile in Piem
Le sentenze del Senato di Piemonte, supremo tribunale del Regno di Sardegna fino al 1848, anno in cui diventa Corte d’Appello, considerano anche reati di minore gravità e oggi ci offrono così curiosi spaccati di vita. Riportiamo due sentenze, che riguardano due donne del Canavese.
La prima accusata è Maria Ricca, moglie di Giuseppe Pagliero, nata ed abitante a Castellamonte.
La sentenza, come d’abitudine, non ne riporta l’età. In compenso al 2° capo di accusa la descrive in termini assai poco lusinghieri: «Di pessime qualità personali per essere dedita alla dissolutezza, all’ubbriacchezza e ad ogni sorta di vizj, notoriamente diffamata in genere di furti, e come tale già stata processata ditenuta e condannata con Sentenza di questo Magistrato in data delli 22 dicembre 1837».
NEL RIQUADRO Originale manoscritto della sentenza del Senato di Piemonte
contro Maria Ricca di Castellamonte in data Torino, 16 marzo 1838 (Archivio di Stato di Torino, Sezioni Riunite. Autorizzazione alla pubblicazione in facsimile dei
documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Torino concessa con protocollo n. 6918 del 25 settembre 1990).
Un capo di accusa o un pettegolezzo? Sono accuse assai lontane da quelle che siamo abituati ad ascoltare oggi dai mass media. Sono accuse che fanno parte del processo penale condotto dal Senato in applicazione delle Regie Costituzioni del 1770, tornate in vigore dopo la Restaurazione del 1814. In realtà, queste indicazioni, più che una vera accusa forniscono un quadro della pericolosità sociale dell’imputato. Non sono esplicitamente previste dalle Regie Costituzioni ma sono state introdotte da tempo dagli stessi giudici del Senato che godono di una discrezionalità assai ampia, praticamente illimitata.
Maria Ricca è accusata di furto. Ma di quale furto si tratta? «Del furto di tre vasi di vetro detti comunemente arbarelle contenenti l’uno noci muscate e gli altri due confetti, colandri, e colandroni ed inoltre di tre limoni del complessivo valore di Lire 22 cmi 25, commesso verso le ore otto pomeridiane» del 3 novembre 1837, «a pregiudizio del fondachiere Vincenzo Gianassi nell’esterno della bottega dal medesimo tenuta in Castellamonte» dove gli oggetti prima elencati erano esposti. Maria Ricca ha inoltre causato a Gianassi un danno di lire due perché ha rotto un’altra «arbarella» ed alcune candele di «cevo» (sego) che erano anche esposte e che lei ha tentato di rubare, senza riuscirci.
Il Senato, il 16 marzo 1838, col Presidente Borio, esamina la sua causa. Maria, secondo la procedura dell’epoca, non partecipa al processo e nel carcere di Ivrea attende di conoscere la sentenza. Il Senato, dopo avere ascoltato la relazione, cioè un riassunto dei fatti esposto da uno dei giudici, il Relatore Pejretti, condanna Maria Ricca a due anni di carcere, previo «l’atto d’interrogatorio in ordine ai complici» (questo interrogatorio, eseguito dopo la condanna, riguarda soltanto eventuali complici e, dal 1814, ha sostituito la tortura), ad indennizzare il derubato e alle spese processuali.
La seconda vicenda ha per protagonista una giovane donna di Candia. Si delinea un matrimonio molto problematico che poteva finire in tragedia.
La moglie è Maria Bocca, nata e residente a Candia, di sedici anni. Il 2° capo di accusa la descrive così: «Di sfavorevoli qualità morali, siccome iraconda poco sommessa [sottomessa] al marito e capace di menar le mani anche senza plausibile motivo».
Del marito conosciamo soltanto il nome, Domenico Locato. Cosa ha portato all’arresto di Maria Bocca, eseguito il 24 aprile 1839, e alla successiva reclusione nel carcere di Ivrea? Verso le undici del mattino del 5 gennaio 1839, a Candia, nella casa «maritale», Maria ha avuto un diverbio col marito e lo ha colpito con un falcetto alla testa, causandogli una ferita lacera alla regione parietale sinistra, sopra l’orecchio, profonda fino all’osso.
Il perito medico che ha visitato Locato ha giudicato questa ferita guaribile in 10 giorni mediante cura. Perché Maria è stata arrestata soltanto alcuni mesi dopo il ferimento del marito? La sentenza non lo dice.
Il 27 maggio 1839, il Senato di Torino con il Presidente Gromo, esamina la causa. Maria non partecipa al processo e attende la sentenza in carcere a Ivrea.
Il Senato, dopo avere ascoltato una relazione degli atti del relatore Soleri, condanna Maria Bocca a tre mesi di carcere a decorrere dal giorno del suo arresto (24 aprile 1839) e alle spese processuali. Il marito ferito ma ormai guarito, come previsto dalla legge, avrà la facoltà, quando la moglie avrà scontato metà della pena (un mese e mezzo), di «richiamarla» cioè di perdonarla e riprenderla in casa autorizzandone la scarcerazione. In ogni caso, prima del rilascio, a metà o a fine pena che sia, Maria dovrà impegnarsi («sottomissione») a vivere per l’avvenire da moglie obbediente e sottomessa al marito e a non dare più motivi di lamentele per la sua condotta: altrimenti sarà punita con una pena più grave «arbitraria» cioè a giudizio del tribunale.
I giudici non sembrano essersi preoccupati di sapere che uomo fosse Domenico Locato. Oggi siamo portati a una forma di simpatia per questa accusata, giovanissima, senza padre («fu Domenico»), forse maritata a un uomo a lei sgradito. Con qualche volo pindarico di fantasia si possono facilmente immaginare situazioni che oggi sono di competenza del Telefono Rosa. Ma noi non vogliamo lavorare di fantasia, ci affidiamo all’eloquenza dei documenti e ci basta ricordare che il passato non deve mai essere idealizzato.
Nota: I «colandri» sono i semi aromatici della pianta delle ombrellifere Coriandrum sativum o coriandolo, usati per la preparazione di confetti e di ratafià. I «colandroni» sono prodotti di confetteria non meglio precisati.
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