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Cent’anni fa, la riforma scolastica di Gentile

Pochi anni sono trascorsi dalla marcia su Roma, e già l’aspetto della nostra Italia è completamente mutato.

IN FOTO Prima elementare maschile, Settimo Torinese, anno 1942

IN FOTO Prima elementare maschile, Settimo Torinese, anno 1942

Risale a un secolo or sono la prima grande riforma organica della scuola italiana. Porta il nome del filosofo neoidealista Giovanni Gentile, allora ministro della Pubblica istruzione nel primo governo presieduto da Benito Mussolini. Modificata dopo i Patti lateranensi del 1929, avrebbe dovuto essere sostituita dalla Carta della scuola di Giuseppe Bottai (1939), ma lo scoppio del secondo conflitto mondiale costrinse le autorità fasciste a differire la piena attuazione di quest’ultima. E così gli ordinamenti scolastici di Gentile sopravvissero pressoché inalterati alla guerra e all’avvento della Repubblica.

IN FOTO Terza elementare femminile, Settimo Torinese, anno 1932-33 (in prima fila, davanti alla maestra Carolina Taragna, la futura mamma di chi scrive)

Correva l’anno 1923, dunque... E la scuola era divenuta fascista. Il ciclo elementare risultava suddiviso in due gradi: l’inferiore o preparatorio (dalla prima alla terza classe) e il superiore (le classi quarta e quinta). Ogni anno scolastico si concludeva con un esame che gli alunni sostenevano accompagnati dal rispettivo insegnante. Al termine del ciclo superiore, la prova aveva luogo davanti a una commissione di tre membri, fra cui il maestro della classe esaminata.

Documenti non privi d’interesse, da qualche tempo oggetto di studi specifici, sono i diari scolastici degli insegnanti. A titolo di esempio si consideri quello della maestra Angela Arpiani, nubile, con esperienza didattica in numerose scuole della provincia (San Giorio, Avigliana, ecc.), che insegnò nelle classi maschili di Settimo Torinese durante il periodo di maggior consenso del fascismo. Nell’anno scolastico 1935-36 le fu affidata una classe terza. I suoi alunni erano trentacinque (di cui sette ripetenti), ma salirono a trentasei con l’arrivo di un ragazzino pugliese. I loro padri esercitavano i mestieri più diversi: sette erano operai, sei meccanici, cinque manovali, tre contadini, due lavandai e uno carrettiere; né mancavano i negozianti (un salumiere, un lattaio) e gli artigiani (un falegname, un calzolaio); uno solo era imprenditore (titolare di uno degli stabilimenti che lavoravano gli ossi dei bovini e producevano bottoni e chincaglierie varie).

Sotto la guida dell’insegnante Arpiani, gli alunni della classe terza familiarizzavano con nuove materie. Dedicato al Risorgimento e alle vicende dell’Italia unita sino alla firma dei Patti lateranensi (11 febbraio 1929), il programma di storia era teso a dimostrare che lo spirito di patria coincideva con l’adesione al fascismo. Spiegava il libro di testo: «Pochi anni sono trascorsi dalla marcia su Roma, e già l’aspetto della nostra Italia è completamente mutato. Non più scioperi, tumulti, indisciplina; ma ordine, rispetto verso i superiori, concordia operosa tra chi lavora e chi dà lavoro».

La figura del Duce, che «grandissime cure ha dedicato […] all’esercito, alla marina [e] all’aeronautica», dominava la recente storia italiana: Benito Mussolini «ha fatto aprire nuove vie, ha fatto costruire autostrade, ha voluto giganteschi lavori per aumentare la superficie dei terreni coltivabili». Seguendo il suo esempio, le nuove generazioni potevano crescere «nella fede in Dio e nella Patria, preparate a difendere con tutte le loro energie l’Italia ed il fascismo».

Durante le lezioni di geografia, gli alunni della classe terza apprendevano di vivere nel «più bel paese del mondo», dove esistono «i palazzi più belli» e «le chiese più maestose e più celebri»: «torri, mura, castelli, palazzi, acquedotti, rovine di paesi e di città antichissime» ricordano i tempi nei quali l’Italia «dominava tutto il mondo conosciuto». Naturalmente il regime operava perché la Patria divenisse «sempre più grande». Fra i centri maggiori spiccava Torino, la capitale dei «principi di Casa Savoia che liberarono l’Italia dagli stranieri»; «più a sud e più vicina al mare, in mezzo a una campagna una volta deserta, dove per merito del fascismo ferve il lavoro», vi era Roma, «la città mondiale».

La selezione scolastica era durissima. Dei trentacinque alunni ammessi allo scrutinio finale, ventitré saranno promossi, otto respinti e quattro rimandati.

Quando la scuola era fascista, per l’appunto... 

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