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12 Novembre 2025 - 21:54
San Mauro Torinese ricorda le vittime di Nassiriya, ma la stampa non è invitata
La città di San Mauro Torinese si è fermata mercoledì mattina, il 12 novembre, per un minuto di silenzio e per deporre una corona d'alloro. Una ricorrenza non molto conosciuta da diversi cittadini, ma di fondamentale importanza. Il giorno in cui, nel 2003, 19 italiani persero la vita in Iraq, in quella che è passata alle cronache e poi alla storia come la strage di Nassiriya.
La cerimonia si è tenuta nella piazza omonima, Vittime di Nassiriya, davanti alla stele dedicata ai caduti, alla presenza della sindaca Giulia Guazzora, di assessori e consiglieri comunali, del vicesindaco di Settimo Torinese, Giancarlo Brino, e di una rappresentanza dell’Arma dei Carabinieri, guidata dal comandante della Compagnia di Chivasso, maggiore Urbano Marrese. Presenti anche le delegazioni dell'Associazione Nazionale Carabinieri, della Protezione civile, i volontari e alcuni cittadini.
Le orazioni ufficiali hanno ricordato i 19 italiani morti nell’attentato: 12 carabinieri, 5 militari dell’Esercito e 2 civili, vittime di un’esplosione che segnò una delle giornate più buie della storia recente del nostro Paese.
Quest'anno, però, la cerimonia è stata segnata da uno scivolone istituzionale, che non è passato inosservato almeno agli "addetti ai lavori". Al contrario dello scorso anno, alla nostra testata non è giunto nessun invito ufficiale all'evento.
Solo un post, pubblicato a cerimonia conclusa sulla pagina Facebook del Comune, con alcune fotografie e una breve didascalia. Tutto qui. Segno che forse quest'anno la priorità dell'amministrazione è stata celebrare se stessa, piuttosto che dialogare con i media locali – anche quando raccontano qualcosa di scomodo.

Così, la memoria di Nassiriya – una pagina dolorosa che aveva unito l’Italia nel lutto e nel rispetto – è diventata quest’anno una ricorrenza raccontata solo dai social, senza la voce di chi quella memoria avrebbe voluto trasmetterla ai lettori. Sia partecipando alla cerimonia, ma anche annunciando l'evento al nostro pubblico con anticipo.
Forse una dimenticanza, o forse una scelta. Ma certo è che qualcosa non ha funzionato nel rapporto tra l’amministrazione e la stampa locale, già messo alla prova nelle settimane scorse dalle polemiche sul progetto di cooperazione in Senegal, con cui San Mauro ha speso oltre 6.000 euro di fondi regionali per una missione di sette giorni a Dakar.
È difficile non pensare che il clima teso di quei giorni – e le inchieste giornalistiche che ne sono seguite – abbiano contribuito a creare un certo distacco, che si è tradotto in un gesto apparentemente piccolo, ma simbolico: una commemorazione senza giornalisti. O almeno, senza i nostri.
Eppure, ricordare Nassiriya non è un atto di circostanza. Significa tenere viva la consapevolezza di un momento che, nel 2003, segnò profondamente la coscienza collettiva del Paese.
Era il 12 novembre di quell'anno, quando un camion cisterna carico di esplosivo si lanciò contro la base italiana dei carabinieri “Maestrale”, nella città irachena di Nassiriya, a 370 chilometri a sud di Baghdad. L’impatto provocò un’esplosione devastante che fece crollare parte dell’edificio e scatenò un incendio alimentato dal deposito di munizioni. Morirono 28 persone, tra cui 19 italiani e 9 iracheni, mentre oltre 100 rimasero feriti.
In Iraq, in quel momento, erano presenti oltre 3.000 militari italiani impegnati nell’operazione “Antica Babilonia”, una missione di stabilizzazione decisa dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. La base di Nassiriya era una delle più esposte, in un contesto di tensione crescente e di attacchi sempre più frequenti da parte delle milizie locali.
Quella mattina, alle 10:40 ora locale, due kamikaze alla guida di un camion esplosivo riuscirono ad arrivare fino all’ingresso della base, fingendosi un convoglio logistico. L’appuntato Andrea Filippa, di guardia al check-point, riuscì a sparare contro il mezzo, impedendo che entrasse nel cortile interno e provocasse un massacro ancora più grande.
Le immagini della caserma distrutta e dei carabinieri coperti di polvere fecero il giro del mondo. L’Italia, che fino a quel momento aveva vissuto la guerra irachena come qualcosa di lontano, si trovò improvvisamente di fronte al suo prezzo più alto. Il dolore unì per giorni istituzioni, forze armate e cittadini, mentre a Roma, davanti all’altare della Patria, si celebravano i funerali di Stato. Da allora, la data del 12 novembre è diventata il Giorno del ricordo dei Caduti italiani nelle missioni internazionali di pace, istituito ufficialmente nel 2009.
Oggi, a distanza di ventidue anni da quel tragico 12 novembre 2003, la memoria resta un segno vivo, ma fragile. E a San Mauro, dove ogni anno la comunità si ritrova davanti alla stele di piazza Vittime di Nassiriya, l’assenza della stampa rischia di apparire come un simbolo di un tempo in cui la memoria pubblica si riduce a un post sui social, condiviso e poi dimenticato nel giro di poche ore.
Un Comune che comunica solo con le proprie pagine online, senza coinvolgere la stampa e senza favorire la partecipazione, dà un’idea di chiusura più che di apertura. E la memoria, se non è condivisa, si trasforma in un rito stanco, in un atto formale. È proprio la condivisione – quella vera, non quella social – a tenere viva la memoria collettiva.
Se davvero la mancata convocazione dei giornalisti è stata una semplice dimenticanza (non da poco), bastava un nonnulla per rimediare. Un’email, una telefonata, un gesto di attenzione. Nulla di tutto questo è arrivato. E allora, forse, non è così assurdo pensare che dietro al silenzio di oggi si nasconda anche qualche imbarazzo per i toni accesi delle ultime settimane, quando La Voce ha raccontato le contraddizioni della missione comunale in Africa.
Forse è solo una coincidenza. O forse no. Ma come recita un vecchio proverbio, "a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca".

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