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Cronaca
24 Dicembre 2025 - 14:37
Ceipiemonte, licenziata due volte e poi risarcita: 374mila euro di disastro
Nel 2013,all’interno d Ceipiemonte, la società regionale che si occupa di internazionalizzazione, una dirigente prende una posizione destinata a segnare la sua carriera e la storia dell’ente. Davanti a una determinazione che prevedeva l’affidamento diretto del servizio di prenotazione e gestione dei viaggi per collaboratori e dipendenti, la manager si rifiuta di firmare. La motivazione è formale e sostanziale allo stesso tempo: per importo e natura del servizio, sostiene, quell’incarico avrebbe dovuto essere assegnato attraverso una gara pubblica di appalto, nel rispetto delle norme sugli appalti e dei principi di trasparenza amministrativa. Il suo richiamo alle regole, però, cade nel vuoto.

Da quel momento, secondo quanto accertato successivamente in sede giudiziaria, il clima all’interno dell’ente cambia. Le relazioni con la dirigenza si irrigidiscono, le tensioni aumentano e il dissenso amministrativo si trasforma progressivamente in un conflitto aperto. Quella che inizialmente appare come una divergenza tecnica si traduce, negli anni, in una progressiva marginalizzazione professionale della dirigente, fino a una vera e propria escalation di provvedimenti.
Il contrasto interno sfocia prima nella sospensione del ruolo e poi in due licenziamenti, entrambi ritenuti illegittimi dai giudici del lavoro: il primo nel 2017, il secondo nel 2020. Tra un provvedimento e l’altro, la dirigente viene reintegrata, ma il ritorno in servizio non coincide con il ripristino effettivo delle mansioni e delle responsabilità precedenti. Anzi, secondo le sentenze, il reintegro è seguito da un demansionamento che svuota il ruolo e incide sulla dignità professionale.
Il contenzioso si trascina per anni e approda più volte davanti al Tribunale del lavoro, che riconosce la fondatezza delle denunce presentate dalla dipendente. I giudici accertano non solo l’illegittimità dei licenziamenti, ma anche che il trattamento subito ha prodotto lesioni permanenti dell’integrità psico-fisica della dirigente, legate alle condizioni di lavoro e alle pressioni organizzative esercitate nel tempo. Non si tratta, dunque, di un semplice conflitto aziendale, ma di una vicenda che assume contorni ben più gravi: il demansionamento e l’insieme dei comportamenti contestati vengono ritenuti lesivi dei diritti fondamentali della lavoratrice, con conseguenze sul piano biologico, morale e professionale.
Parallelamente, la storia approda anche davanti alla Corte dei Conti, che analizza la vicenda sotto un altro profilo: quello della responsabilità amministrativa e dell’uso delle risorse pubbliche. Il punto centrale è l’impatto economico di quella gestione conflittuale. Tra risarcimenti disposti dai giudici del lavoro, spese legali e una successiva transazione tra le parti, Ceipiemonte è costretta a sostenere un esborso complessivo di circa 374mila euro. Una cifra che, secondo i magistrati contabili, non può essere liquidata come un semplice costo fisiologico, ma rappresenta la conseguenza di condotte manageriali errate e carenze di governance che hanno aggravato il contenzioso e generato un danno per la società.
Per questo la Corte dei Conti individua precise responsabilità personali. Giuliano Lengo, direttore generale di Ceipiemonte dal 2007 al 2021, viene condannato a rimborsare 66.469 euro alla società regionale per responsabilità amministrativa connessa alle scelte organizzative e gestionali adottate nel corso degli anni. Altri soggetti coinvolti – due ex presidenti dell’ente e la responsabile dell’Ufficio del personale – scelgono il rito abbreviato nel giudizio contabile e versano circa 28mila euro ciascuno, chiudendo così la loro posizione.
Nel frattempo, la dirigente aveva continuato a denunciare un quadro fatto di sanzioni disciplinari infondate, isolamento interno e provvedimenti espulsivi reiterati. Secondo quanto emerge dalle sentenze, il trattamento subito non si è limitato a una modifica formale delle mansioni, ma ha inciso profondamente sulla sua carriera e sulla sua salute. La vicenda si conclude infine con una conciliazione giudiziale e un incentivo all’esodo, che mette fine al rapporto di lavoro ma non cancella quanto accertato nei procedimenti.
Il “calvario” durato dodici anni non resta così confinato alla storia personale di una dirigente. Diventa un caso emblematico di come, all’interno delle società partecipate, il rispetto delle regole sugli appalti, la gestione del dissenso interno e la tutela dei diritti dei lavoratori possano trasformarsi in terreno di scontro, con conseguenze pesanti sia sul piano umano sia su quello economico. Una vicenda che lascia sul tavolo una domanda inevitabile: quanto può costare, a un ente pubblico, non ascoltare chi chiede semplicemente di applicare le regole?
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