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08 Novembre 2025 - 11:06
Livio Tranchida
Altro che fiore all’occhiello della sanità pubblica. Dalla Valle d’Aosta al Piemonte, la cosiddetta “libera professione intramoenia” — quella che secondo certi sindacati di categoria dovrebbe portare soldi alle casse pubbliche e ridurre le liste d’attesa — sta diventando, nei fatti, un buco nero contabile. Un sistema che anziché alleggerire la macchina sanitaria, la dissangua.
L'ennesimo segnale arriva da Aosta, dove la Procura della Corte dei Conti ha deciso di mettere sotto la lente l’Usl. Le indagini della Guardia di Finanza hanno messo in luce un meccanismo quasi surreale: tariffe delle prestazioni private dentro le strutture pubbliche rimaste ferme per anni, pazienti che pagano meno del dovuto, e un risultato che definire “paradossale” è poco — perdite per 498 mila euro nel 2019, 882 mila nel 2020, e altri 32 mila nel 2021.
Totale: oltre un milione di euro spariti in tre anni, in barba al principio base dell’intramoenia, cioè che i ricavi devono coprire i costi, non crearne di nuovi.
Il caso è finito davanti ai giudici contabili, che hanno contestato un presunto danno erariale a ben 25 persone, tra dirigenti e funzionari. Il rilievo principale? L’inerzia. In atti si legge che “le condotte poste in essere abbiano tutte natura omissiva, essendo state tralasciate doverose attività di monitoraggio e controllo”.
In pratica: nessuno ha controllato nulla.
L’Usl valdostana, per difendersi, ha provato a mettere una pezza: dice di aver recuperato il 97% del disavanzo già nel 2021 e di aver chiuso i bilanci in utile dal 2022. Bene, verrebbe da dire. Ma intanto, per arrivare a quel punto, i conti pubblici sono stati trattati come un bancomat privato.
A Torino la storia si ripete. Alla Città della Salute, la più grande azienda ospedaliera del Piemonte, il bilancio 2024 racconta una verità scomoda: la libera professione non porta risorse alla sanità pubblica, ma gliele toglie.
Il risultato? Un buco da 402 mila euro. Non milioni, certo — ma la cifra è sufficiente a rivelare il cortocircuito. Perché per legge la libera professione non può chiudere in perdita. E invece lo fa. E lo fa proprio in quella struttura che dovrebbe rappresentare l’eccellenza della sanità piemontese.
Senza contare che in molti ospedali i primari li trovi solo al mattino: poi “scappano”. Qualcuno dice per fare ricerca, altri — più onesti — per fare soldi.

Gian Luca Vignale
A peggiorare il quadro, ci sono due dettagli che gridano vendetta. Primo: il direttore generale Livio Tranchida aveva promesso fin dal primo minuto l’aggiornamento delle tariffe per rimettere i conti in pari. Peccato che, a oggi, quelle tariffe siano ancora lì, ferme come un treno guasto in stazione. Secondo: la maggior parte delle prestazioni intramoenia — l’85% — non si svolge affatto “entro le mura” degli ospedali, ma fuori, presso la clinica Fornaca con la quale si è di nuovo rinnovata la convenzione.
E così, quella che doveva essere un’eccezione diventa regola: i medici pubblici che lavorano nel privato, con i mezzi del pubblico, ma fuori dal pubblico. Il tutto con un piccolo dettaglio: i costi restano sulle spalle dell’ospedale.
Non stupisce allora che sulla Città della Salute si stia muovendo anche la Procura della Repubblica, pronta a chiedere il rinvio a giudizio di ex direttori generali e dirigenti per vicende del passato. Ma i conti che non tornano riguardano anche l’oggi.
E qui entra in scena la Regione Piemonte, che — incredibile ma vero — ammette di non sapere nulla.
L’assessore Gian Luca Vignale, rispondendo a un’interrogazione del pentastellato Alberto Unia, ha dichiarato che “occorreva attendere il bilancio”. Tradotto: finché non si firma il disastro, facciamo finta che non esista.
Ora che il bilancio c’è, il Movimento 5 Stelle, con la capogruppo Sarah Disabato, annuncia nuove interrogazioni. Nel mirino anche l’“advisor” nominato dal commissario Thomas Schael, quello che doveva verificare i conti prima di apporre la sua firma. Peccato che Schael sia stato “giubilato” poco dopo. E che i conti, quelli veri, non li abbia controllati nessuno.
Il paradosso finale è che, nonostante tutto, l’intramoenia continua a essere difesa a spada tratta da alcuni sindacati medici come una forma di autofinanziamento del sistema sanitario. Ma di “auto” qui c’è solo la corsa verso il baratro e un bel numero di sanitari che si fanno gli "affari" proprio, in tutti i sensi.
Perché se i costi superano gli incassi e nessuno aggiorna le tariffe, significa che l’ospedale paga per permettere ai suoi medici di fare visite a pagamento. Un’assurdità contabile, oltre che etica.
Nel frattempo, Tranchida ha prorogato la convenzione con la clinica Fornaca, confermando di fatto che la sanità “entro le mura” resta un concetto astratto. E mentre si promettono nuove tariffe, si firma un bilancio in rosso con la “penna fortunata” dell’assessore Federico Riboldi, che da quando è arrivato alla Sanità regionale sembra più interessato ai comunicati che ai conti.
Morale? Tra un rinvio e una proroga, il sistema resta in piedi solo grazie a un miracolo contabile, corretto con il bianchetto. Ma la realtà è che ogni euro perso per colpa dell’intramoenia è un euro in meno per comprare attrezzature, pagare infermieri o ridurre le attese dei pazienti.
E questo mentre ci si riempie la bocca con parole come “efficienza”, “modernizzazione”, “rilancio della sanità pubblica”.
Insomma, dalla Valle d’Aosta alla Città della Salute di Torino, il copione è identico: i bilanci pubblici in rosso, i controlli assenti, i medici che lavorano nel privato ma con la copertura del pubblico. E le stesse istituzioni che fanno finta di non vedere.
Un film già visto, con la sanità pubblica ridotta a comparsa e i soliti protagonisti che, tra un gettone e una parcella, riescono sempre a trasformare la malattia in affare.
Abbiamo detto tutto? Ancora no. A chiudere in bellezza, arrivano loro: i Tranchida-Boys. Direttamente da Cuneo, altri due “esperti” chiamati a mettere ordine nei conti della Città della Salute con un incarico che a "carattere esclusivamente consulenziale, in ambito amministrativo contabile": Fabio Aimar (Direttore S.C. Bilancio e Contabilità) e Thea Tampini (Dirigente Amministrativo della medesima S.C.).
Costo dell’operazione? Settantamila euro, più altri diecimila al dottor Davide Di Russo, commercialista, revisore, professore e membro dell’Organismo Italiano di Contabilità.
Tutto questo, naturalmente, dopo l’esercito di consulenti convocato ai tempi del commissario Thomas Schael: Intellera, Deloitte, Arthur D. Little, Hspi, Telos, Long Distance. Un’armata di cervelloni strapagati per “fare chiarezza”.
Risultato? I conti restano un mistero. Ma almeno — come direbbe qualcuno — c’è lavoro per tutti.
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