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07 Novembre 2025 - 17:35
clinica
Alla Città della Salute di Torino le parole “trasparenza” e “coerenza” sembrano essere finite in quarantena permanente. Mentre la Procura indaga sui rapporti poco limpidi con alcune cliniche private e sui mancati versamenti legati alle attività in regime di intramoenia, l’Azienda ospedaliera continua, con sorprendente disinvoltura, a firmare proroghe con le stesse strutture finite sotto i riflettori.
È il caso della E.C.A.S. S.p.A., nome burocratico dietro cui si nasconde la ben più nota Clinica Fornaca, del gruppo Humanitas, una delle strutture private di punta del Piemonte. Proprio lei, la clinica che — stando a quel che se ne scrive un po’ ovunque — avrebbe dovuto versare somme significative alla Città della Salute per le prestazioni dei medici pubblici operate in regime libero-professionale, e che invece — si ipotizza — non avrebbe sempre restituito quanto dovuto. Si parla, a livello complessivo, di un buco da circa 7 milioni di euro, quegli stessi 7 milioni cancellati nei giorni scorsi dal bilancio.
Ebbene, nonostante tutto questo, la Città della Salute proroga. Con la delibera n. 1431 del 2025, il direttore generale Livio Tranchida ha esteso fino al 31 dicembre 2025 la convenzione con la E.C.A.S. S.p.A., definita per iscritto “non accreditata”. Cioè, un soggetto privato che non ha un riconoscimento formale nel sistema sanitario regionale, ma che può comunque accogliere i medici pubblici dell’ospedale per attività a pagamento, all’interno di quella giungla amministrativa chiamata “libera professione intramuraria”. Tutto legale, tutto formalmente corretto, tutto timbrato con firma digitale. Ma anche tutto moralmente discutibile.

Perché mentre la Regione Piemonte approva una nuova legge — la n. 11 del 2025 — per rendere più trasparente e uniforme la gestione della libera professione dei medici, la principale azienda sanitaria del Nord Italia continua a muoversi in direzione opposta. Proroga dopo proroga, la Città della Salute mantiene in vita un sistema opaco, dove il pubblico si lega al privato come un malato alla flebo: per necessità, ma anche per abitudine. E ogni volta la motivazione è la stessa: “in attesa dell’aggiornamento del regolamento aziendale”. Una formula che suona come la più collaudata delle scuse.
La delibera è chiara: la convenzione con la Fornaca viene prorogata “per il tempo strettamente necessario all’aggiornamento del vigente regolamento aziendale e del relativo schema tipo di convenzione”, e comunque non oltre la fine dell’anno. Ma intanto si proroga, ancora. Si proroga anche se c’è un’inchiesta aperta. Si proroga anche se i conti non tornano. Si proroga perfino mentre si parla di “debiti” e “mancati introiti”. E per di più, si tratta di una convenzione con una struttura privata che non risulta accreditata al sistema pubblico, ma che gode comunque di rapporti economici e operativi con l’ospedale.
Nel testo della delibera si leggono cifre, percentuali e formule da manuale: IRAP all’8,5%, fondo Balduzzi al 5%, fondo di perequazione al 5%, compensi, costi aziendali e perfino la cifra presunta di ricavi da registrare in bilancio, 165.363,30 euro per il 2025. Tutto ben calcolato, tutto regolato, tutto perfettamente in ordine sulla carta. Peccato che fuori dalla carta ci sia una realtà fatta di rapporti sbilanciati, di medici pubblici che operano in strutture private, e di una catena di proroghe che non lascia spazio a nessuna vera riforma.
Insomma: è del tutto evidente. Ha vinto la lobby dei primari. Quella potente, silenziosa, che decide tutto senza mai comparire, che fa tremare l'assessore regionale alla sanità Federico Riboldi, che muove le leve della sanità piemontese e che riesce sempre a piegare le regole all’interesse di pochi. È la stessa lobby che si trincera dietro la “libera professione” per continuare a gestire un doppio canale di privilegio: pubblico quando serve per la carriera, privato quando serve per il portafoglio. Ed è proprio questa lobby, più forte di qualsiasi direttiva regionale o promessa di riforma, che continua a condizionare la politica sanitaria piemontese.
Si parla tanto di “efficienza”, di “governance”, di “integrazione pubblico-privato”, ma alla fine il risultato è sempre lo stesso: chi ha i mezzi ottiene convenzioni, chi ha i rapporti ottiene proroghe, e chi paga il servizio — cioè i cittadini — resta a guardare. Perché mentre la Clinica Fornaca continua a lavorare con l’ospedale pubblico, il paziente comune resta in coda per una visita, paga il ticket e si sente dire che “il sistema è sotto pressione”.
È difficile non leggere questa storia come l’ennesima dimostrazione di un vizio tipicamente italiano: la proroga come forma di governo. Qui non si risolve, si rinvia. Non si chiude, si allunga. Non si corregge, si proroga. Così, anche davanti a un’indagine della Procura e a milioni di euro che mancano all’appello, la macchina della Città della Saluteva avanti come se nulla fosse. L’importante è che ci sia la firma, la formula di rito e la frase “immediatamente eseguibile”.
E allora sì, a Torino si proroga tutto. Anche i debiti. E, aggiungiamo pure, anche i privilegi.
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