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Città della salute: Il Fondo Balduzzi colpisce ancora: Tranchida chiama l’ennesimo consulente per capire dove sono finiti i soldi

Doveva essere la “firma imminente” promessa da Riboldi, ma per chiudere il bilancio della Città della Salute servono ormai più consulenti che medici. Intanto il “buco” da sette milioni resta dov’era — e Schael, quello che non volle firmare, inizia a sembrare un visionario

Il Fondo Balduzzi colpisce ancora: Tranchida chiama l’ennesimo consulente per capire dove sono finiti i soldi

Livio Tranchida

TORINO. C’era una volta Thomas Schael, il commissario con la schiena dritta, quello che davanti ai numeri del bilancio della Città della Salute e della Scienza di Torino aveva detto: “Io qui non firmo, finché non capisco.”
Una frase semplice, quasi ingenua per gli standard sanitari piemontesi. Ma sincera. Troppo sincera. E infatti Schael è stato accompagnato gentilmente all’uscita, come si fa con chi disturba il sonno tranquillo dei contabili di palazzo.

Al suo posto è arrivato Livio Tranchida, nuovo direttore generale, osannato come l’uomo del cambiamento, il “risolutore”.
Peccato che, due mesi dopo il suo insediamento, la scena sia identica. Cambiano le firme, ma il copione resta lo stesso: c’è sempre il buco Balduzzi, quei famosi sette milioni di euro evaporati negli anni, e c’è sempre qualcuno che deve capire dove siano finiti.


Mentre il Grattacielo della Sanità preme per avere il consolidato 2024 da portare al Mef, Tranchida ha deciso di fare ciò che in questi casi fa ogni bravo dirigente moderno: chiamare un altro consulente.
Questa volta si tratta del Dottor Davide Di Russo, un nome importante, curriculum lungo quanto una delibera regionale, professore universitario, revisore dei conti, perito della Procura e, per completare la collezione, membro dell’Organismo Italiano di Contabilità. Insomma, un uomo che di numeri vive. E per 10 mila euro più IVA, vivrà anche di quelli del Fondo Balduzzi.

Federico Riboldi

Federico Riboldi

Per carità, scelta legittima. Ma c’è un piccolo particolare: Schael aveva già chiamato a suo tempo un intero esercito di “advisor” e “pool di società” per lo stesso motivo. Ricordate?
Intellera Consulting, Deloitte, Arthur D. Little, Hspi, Dstech, Telos, Long Distance… un parterre degno di un G7 della consulenza. Eppure, con tutti quei cervelloni al lavoro, nessuno è riuscito a chiudere il cerchio.

Ora, con l’arrivo di Tranchida, si ricomincia da capo. Un nuovo parere, un’altra valutazione, un’altra parcella.
Nel frattempo, i cittadini aspettano che la più grande azienda ospedaliera del Piemonte abbia un bilancio, e che i conti tornino almeno una volta.


La delibera di incarico, firmata a fine ottobre, è un piccolo capolavoro di burocrazia difensiva.
Parla di “complessità e specialità della materia”, “impossibilità di avvalersi di personale interno”, “esigenza di terzietà” e perfino di “ricadute sull’assetto organizzativo e le filiere di responsabilità”.
Tradotto in linguaggio umano: dentro la Città della Salute nessuno vuole più toccare quei numeri. Per paura, prudenza o semplice istinto di sopravvivenza.

La questione del Fondo Balduzzi, per chi se lo fosse perso, è quella storia infinita dei mancati introiti legati alla libera professione dei medici. Un pasticcio di milioni di euro mai incassati, che si trascina da anni e che ha acceso più di un faro in Procura.
Un’inchiesta, quella della magistratura torinese, che ha già chiesto il rinvio a giudizio di vari ex direttori generali e dirigenti. E proprio quelle relazioni dei consulenti della Procura, citate nella delibera di Tranchida, sono la prova di quanto la situazione sia delicata.


Il nuovo direttore generale, però, pare non voler fare passi falsi. Ha portato con sé uomini fidati, come Fabio Aimar, già direttore regionale, e ha promesso di sistemare tutto.
Ma a oggi, più che un bilancio, c’è una collezione di consulenze. E l’idea che per approvare un documento contabile serva un consiglio di guerra.

E mentre Riboldi continua a rassicurare che è solo questione di giorni, cresce la sensazione che i giorni diventino settimane, le settimane mesi e i mesi anni.
La “firma imminente” del bilancio è diventata la barzelletta preferita nei corridoi della Sanità piemontese.


Ironia della sorte, Schael – quello cacciato perché non firmava – oggi risulta l’unico ad aver avuto ragione.
Aveva chiesto chiarezza, aveva preteso verifiche, e si era rifiutato di chiudere i conti finché i numeri non quadravano.
Oggi, dopo lui, servono due direttori, dieci consulenti e una mezza dozzina di società per tentare di capire le stesse cose.

E intanto, il “buco Balduzzi” resta lì, come una voragine aperta nel pavimento di corso Bramante.
Una storia che si allarga ogni volta che qualcuno prova a coprirla.
Schael non l’ha firmato per onestà. Gli altri non lo firmano per prudenza.
E alla fine, la sola firma che resta davvero impressa è quella del ridicolo.

Cos’è il Fondo Balduzzi (e perché se ne parla ancora)

Il Fondo Balduzzi prende il nome dall’ex ministro della Salute Renato Balduzzi, autore della legge che regola la libera professione intramuraria dei medici ospedalieri, ossia l’attività privata svolta all’interno (o all'esterno) delle strutture pubbliche.
In teoria, una parte dei compensi delle visite e degli interventi privati dovrebbe finire nelle casse dell’azienda sanitaria, come rimborso, tra le altre cose per l’uso di spazi, attrezzature e personale.
In pratica, però, alla Città della Salute di Torino per anni quei soldi non sono arrivati per intero.

Il risultato? Un “buco” contabile da oltre sette milioni di euro, oggi al centro di un’inchiesta della Procura di Torino e di una serie infinita di pareri, verifiche e consulenze.
Un fondo nato per regolare la trasparenza della libera professione, diventato col tempo un labirinto amministrativo dove, a quanto pare, neppure i contabili più esperti riescono a trovare l’uscita.

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