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Dal Gran Paradiso alle Valli di Lanzo, il Piemonte si riscopre meta turistica

I dati del Rapporto UNCEM raccontano una crescita costante anche nelle aree meno celebrate

Turismo in montagna

Turismo in montagna

Il turismo in montagna cresce, attira visitatori e smuove l’economia, ma non senza contraddizioni e rischi. È quanto emerge dal Rapporto Montagne Italia 2025 presentato da Uncem, l’Unione nazionale dei Comuni, Comunità ed Enti montani, che offre una fotografia precisa del settore: nelle Alpi e negli Appennini il turismo pesa in media per il 6,7% del PIL, un valore in linea con quello nazionale. Non si tratta quindi di una nicchia marginale, ma di un comparto centrale per la vita delle comunità montane. Basti pensare che in queste aree vi sono 19,3 posti letto ogni 100 abitanti, con una media annua di 1.200 presenze per 100 abitanti e una permanenza media di circa 3,1 giorni. Numeri che descrivono bene un fenomeno che, soprattutto nell’estate 2024, ha conosciuto un’ulteriore impennata di flussi.

L’analisi condotta da Ipsos per il Rapporto conferma la percezione positiva degli italiani nei confronti delle montagne: il 90% degli intervistati le considera una destinazione turistica di grande attrattiva, e il 56% arriva a definirle un luogo dove immaginare di vivere stabilmente. Sono dati che parlano di una riscoperta delle valli e dei paesi alpini, accelerata anche dall’emergenza climatica e dal bisogno crescente di spazi meno congestionati rispetto alle città e alle coste.

Eppure, secondo Uncem, parlare di “overtourism” in montagna è sbagliato. Marco Bussone, presidente nazionale, lo ha ribadito con forza: «Non siamo davanti a un fenomeno paragonabile a quello di Venezia o delle Cinque Terre. Piuttosto possiamo osservare dei picchi stagionali, concentrati in pochi giorni dell’anno e in aree circoscritte. Ma la montagna resta lontana da una saturazione strutturale dei flussi». Il vero nodo, aggiunge, non è la quantità di turisti ma la loro consapevolezza: «Chi sale in montagna deve capire che entra in un sistema complesso, ecologico e umano, fatto di comunità vive. I paesi non sono borghi-cartolina: sono luoghi abitati, che vanno sostenuti anche semplicemente facendo la spesa nei negozi della valle, fermandosi nei bar, interagendo con chi vive e lavora tutto l’anno».

Un esempio concreto arriva dal Piemonte, e in particolare dalle Valli di Lanzo e dal Canavese, territori che rientrano nelle aree di osservazione del Rapporto. Qui i numeri parlano di una ripresa significativa del turismo estivo, spinto dalle attività all’aria aperta: escursionismo, ciclismo, turismo sportivo. Le valli torinesi hanno visto una crescita delle presenze nei rifugi e nelle strutture extralberghiere, ma anche la pressione concentrata in poche mete “iconiche” come le cascate di Pian della Mussa e, nel Canavese, la zona dei laghi di Candia e Meugliano con affollamenti che hanno costretto le amministrazioni a introdurre limitazioni temporanee al traffico e nuove regole di accesso.

Sono situazioni che ricordano da vicino altri casi italiani di “turismo di picco”: le Dolomiti, in primis il Lago di Braies e le Tre Cime di Lavaredo, o ancora la Val di Fassa e le mete di alta quota più fotografate. Non si tratta di overtourism strutturale, ma di giornate in cui la pressione dei visitatori supera di gran lunga la capacità di accoglienza dei luoghi, creando disagi per residenti e turisti stessi. È qui che il Rapporto Uncem invita a riflettere: più che limitare i flussi, occorre lavorare su gestione intelligente, comunicazione dei comportamenti corretti e rafforzamento dei servizi locali, affinché il turismo diventi davvero un motore di sviluppo e non un peso.

Il documento mette in luce anche il peso occupazionale del settore: in media ogni comunità territoriale montana conta 650 occupati nella filiera turistica, con punte che superano le 9.400 unità in Alto Adige, nell’area di Villabassa e Alta Pusteria. Ma se le Dolomiti o la Val d’Aosta fanno registrare dati impressionanti, non mancano zone in difficoltà: in alcune comunità del Sud Italia il turismo incide per meno dell’1% sul PIL locale. Ecco perché Uncem sottolinea la necessità di politiche differenziate, evitando letture superficiali che mettano tutto nello stesso calderone.

Il punto centrale resta il ruolo delle comunità. «Il turismo – ribadisce Bussone – esiste perché esistono paesi e persone che vivono quei territori. Senza agricoltura, senza gestione dei versanti, senza negozi aperti tutto l’anno, i flussi turistici non potrebbero esistere. Non chiediamo assistenzialismo, ma buonsenso: comprate nelle valli, fermatevi a mangiare nei bar e nei ristoranti, non portate tutto da casa». È una lezione che vale per le Dolomiti come per le Valli di Lanzo e il Canavese, dove la sfida è quella di attrarre visitatori senza perdere l’anima dei luoghi.

Alla luce dei dati Uncem, il turismo montano appare dunque come un settore in salute, ma non immune da rischi. Non un overtourism, ma una crescita che va governata. Con una bussola chiara: la sostenibilità sociale ed economica, che non può prescindere da chi in quelle valli vive 365 giorni all’anno.

IN PIEMONTE

Il Rapporto Montagne Italia 2025 curato da Uncem fotografa una situazione che, per il Piemonte, si colloca in una posizione intermedia tra regioni ad alta attrattività turistica e territori in cui la montagna rimane ancora un patrimonio sottoutilizzato. Nelle tabelle e nelle mappe che accompagnano il documento, il Piemonte registra un’incidenza della filiera turistica del 62,71%, un dato superiore alla media nazionale (53,45%) e che segnala l’importanza del comparto nella vita economica regionale. È una cifra che riguarda da vicino anche le aree alpine torinesi, comprese le Valli di Lanzo e le vallate del Canavese, dove il turismo rappresenta una risorsa importante ma non ancora pienamente sviluppata.

Le criticità emergono osservando i numeri sulle presenze turistiche per 100 abitanti: in Piemonte il valore è fermo a 2,52, uno dei più bassi a livello nazionale. La differenza rispetto al Trentino-Alto Adige (25,34 presenze ogni 100 abitanti) o al Veneto (7,56) è evidente e restituisce l’immagine di territori che, pur avendo un patrimonio naturalistico e culturale rilevante, faticano a trattenere i visitatori più a lungo. Nelle valli torinesi, che comprendono borghi alpini, laghi e aree protette, il flusso turistico è discontinuo, legato soprattutto ai fine settimana e ad alcune stagioni precise.

La durata media dei soggiorni sulle Alpi è di 3,1 giorni, sotto la media nazionale di 3,4. Significa che chi arriva nelle zone montane piemontesi, dal Pian della Mussa fino agli specchi d’acqua del Canavese, tende a restare per periodi brevi. È un fenomeno che pesa sulle attività economiche locali, troppo spesso costrette a vivere di stagionalità e a inseguire un turismo “mordi e fuggi” più che una frequentazione stabile.

Il rilievo dell’occupazione turistica conferma questa dinamica: in Piemonte i livelli restano nella fascia medio-bassa, lontani dalle concentrazioni del Nord-Est o della Liguria. Il potenziale ricettivo però non manca. Sulle Alpi la media è di 40 posti letto ogni 100 abitanti, a fronte di una media nazionale di 9,3. Un indice che segnala come l’offerta di strutture esista, ma sia spesso sottoutilizzata o concentrata in pochi poli noti, mentre aree come le Valli di Lanzo e i laghi del Canavese continuano a non beneficiare appieno di questa capacità.

La lettura dei dati conduce inevitabilmente al tema dell’overtourism, fenomeno che in Piemonte non riguarda in maniera diffusa i territori montani, ma tocca alcune località simbolo. Cervinia e Sestriere sono esempi di luoghi sovraccarichi nei periodi di punta, con ricadute ambientali e sociali ben note. In altre aree alpine italiane, come le Dolomiti trentine o la Val di Fassa, la pressione turistica è ormai tale da imporre limiti di accesso ai passi o ai sentieri più frequentati. Nel Canavese e nelle Valli di Lanzo, invece, il quadro è opposto: qui non esiste un eccesso di flussi, semmai una carenza di continuità e promozione.

È su questo punto che Uncem ha più volte preso posizione, sottolineando la necessità di politiche mirate non a limitare il turismo ma a redistribuirlo, favorendo forme di accoglienza diffusa e sostenibile. La sfida è duplice: evitare che poche località vengano soffocate dai visitatori e al tempo stesso portare vita e presenze nei paesi che oggi restano fuori dai circuiti principali. Il Rapporto evidenzia come la montagna piemontese abbia ampie potenzialità, ma richieda strategie coordinate per attrarre un turismo più lungo e consapevole, che sappia scoprire anche borghi meno noti, dalle borgate alte delle Valli di Lanzo ai laghi di Candia e Meugliano.

In questo scenario, i dati non vanno letti come una condanna ma come uno stimolo. La montagna piemontese non è satura, anzi: ha ancora molto spazio per crescere. Ma occorre farlo senza rincorrere modelli che altrove hanno prodotto squilibri, puntando piuttosto su esperienze autentiche, legate al territorio e alla qualità della vita delle comunità locali.

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