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Esteri
28 Novembre 2025 - 06:59
La musica sparata dagli altoparlanti di uno smartphone, il mare che sembra dipinto e il sole verticale come una lama. «¡España!» urla un ragazzino, brandendo il telefono mentre la costa si avvicina. La scena, diventata virale in poche ore, mostra sette adolescenti algerini — shorts, ciabatte, facce di sfida — che documentano in diretta su TikTok l’arrivo a Ibiza a bordo di una barca da diporto rubata. È il 3 settembre, e quel video non è l’ennesima goliardata digitale: è la rappresentazione plastica di un fenomeno che sta riscrivendo il Mediterraneo occidentale e alimenta, in Algeria, una domanda che nessuna istituzione riesce più a eludere: perché i più giovani vogliono “bruciare” le frontiere?
Il caso è noto. I sette partono dalla zona di Tamentfoust, a est della baia di Algeri, senza un vero GPS nautico, guidati solo da un’app di navigazione per pescatori caricata sul telefono, taniche di carburante accumulate alla rinfusa, un motore fuoribordo riparato più volte alla bell’e meglio. Attraversano circa trecento chilometri di mare e approdano a Ibiza: nei video, rilanciati dai media e osservati da milioni di utenti, c’è tutto ciò che il dibattito pubblico fatica a tenere insieme — l’euforia dell’impresa, l’incoscienza dell’età, la disperazione silenziosa di chi non immagina un futuro nel proprio Paese. In Algeria il clamore monta: c’è chi punta il dito contro il vuoto di prospettive, chi contro il sistema educativo, chi contro uno Stato accusato di non offrire alternative reali ai minorenni. Il caso arriva sulle pagine dei giornali europei, mentre le autorità algerine avviano contatti con Madrid per ottenere il rientro dei sette. Resta però la domanda centrale, molto più grande di un fascicolo giudiziario.
La traversata di quei minori non è un episodio isolato. La rotta algerina verso le Baleari e le coste della Spagna meridionale si rafforza nel corso del 2025, mentre altri corridoi migratori, come quello atlantico verso le Canarie, rallentano. Secondo dati e analisi di Frontex e delle autorità spagnole, gli arrivi sulla rotta del Mediterraneo occidentale tra gennaio e ottobre 2025 aumentano, e una quota ormai dominante delle partenze avviene da coste algerine: circa il 75% dei migranti intercettati ha lasciato l’Algeria, contro il 40% dell’anno precedente. Le Baleari diventano la destinazione prevalente delle imbarcazioni leggere e dei gommoni veloci, spinti da reti di trafficanti che si adattano più rapidamente dei governi ai mutamenti nei controlli di frontiera.
Sul piano nazionale, i dati del Ministerio del Interior spagnolo registrano un calo complessivo degli ingressi irregolari nel 2025, ma nelle Baleari la tendenza si ribalta: il +66% tra gennaio e ottobre porta gli sbarchi a quota 6.280, proprio mentre il resto del Paese osserva una flessione. La pressione esplode a metà novembre, quando in 48 ore arrivano 19 imbarcazioni con circa 360 persone. In questo quadro emerge un numero che genera discussione: secondo informazioni attribuite a Frontex, e rilanciate da diverse testate europee, tra il 1° gennaio e il 31 ottobre vengono registrati 8.496 attraversamenti irregolari compiuti da cittadini algerini diretti verso le Baleari e la Spagna meridionale. Una cifra che non compare in dataset ufficiali completamente disaggregati, ma che risulta coerente con i trend segnalati da Frontex e Madrid. In assenza di trasparenza totale dei database, la cifra va maneggiata con cautela, ma non risulta inverosimile.
La viralità dei video dei harraga — “coloro che bruciano le frontiere” — amplifica il contagio dell’emulazione. Le immagini dei sette arrivati a Ibiza diventano un modello narrativo: una traversata raccontata come una gita estiva, ma con il sottotesto di una fuga. La novità è l’uso della tecnologia come grimaldello immaginario: smartphone usati come bussola, app di navigazione leggere, dirette social che cercano consenso e visibilità. Non sostituiscono le cause strutturali, ma cambiano l’immaginario del viaggio e la percezione del rischio.
Il cuore del fenomeno è un malessere generazionale che non trova risposte. L’Algeria è un Paese giovanissimo, con un’enorme quota di popolazione under 25 e un mercato del lavoro incapace di assorbirne l’energia. Secondo la Banca Mondiale, il tasso di disoccupazione giovanile nel 2024 si attesta intorno al 29-30%, un livello che tradotto in biografie significa attese infinite, impieghi informali, salari bassi, un sistema educativo disallineato rispetto alle esigenze produttive. Nel 2025 il Fondo Monetario Internazionale registra un rallentamento della crescita, un deficit di bilancio persistente e una riduzione dell’inflazione post-pandemica: segnali che, per molti giovani, equivalgono all’ennesima promessa mancata. L’economia resta appesa agli idrocarburi, che negli ultimi anni hanno rappresentato l’83% dell’export e quasi metà delle entrate fiscali. Senza diversificazione e senza un ecosistema capace di generare lavoro qualificato, la rotta dei giovanissimi continua a puntare verso nord.
La risposta europea si articola su due livelli. Da un lato, Frontex segnala nel 2025 un calo generale degli ingressi irregolari verso l’Unione Europea, con l’eccezione delle rotte mediterranee e, in particolare, del Mediterraneo occidentale. Dall’altro, la diplomazia riattiva interlocuzioni rimaste congelate: tra ottobre e novembre il ministro dell’Interno spagnolo Fernando Grande-Marlaska incontra il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune e il ministro dell’Interno Saïd Sayoud. Sul tavolo ci sono l’aggiornamento del protocollo sui rimpatri, lo scambio di informazioni contro le reti di trafficanti, le misure tecniche per limitare l’uso delle lance veloci che accorciano la traversata verso le Baleari. È il segnale di un disgelo dopo le tensioni esplose nel 2022 sul dossier Sahara Occidentale.
Nell’arcipelago, intanto, la pressione si fa concreta: centri di accoglienza saturi, trasferimenti accelerati verso la Penisola, polemiche politiche tra governo regionale e Madrid. Sul piano umanitario, la rotta occidentale è meno letale di quella centrale, ma non priva di morti e dispersi: un dato sistematicamente sottostimato dalle statistiche ufficiali e riportato da numerose ONG mediterranee.
In Algeria, i video dei sette adolescenti alimentano un dibattito rovente. Le richieste di rimpatrio avanzate per i minori sono solo la parte visibile di un disagio che esplode anche nelle scuole: nel 2025 scioperi studenteschi contro i “programmi sovraccarichi” riportano alla luce un sistema educativo percepito come arcaico, lontano dal mercato del lavoro e dominato dalla cultura della raccomandazione. Chi può sogna di partire, chi non può si arrangia nell’economia informale o nei lavori a giornata. Nel frattempo, lungo i confini meridionali, continuano i respingimenti verso il Nigerdi migranti subsahariani intercettati dalle forze di sicurezza algerine: una pratica denunciata da ONG regionali e internazionali, che nel 2025 raggiunge numeri significativi. È il segno di un Paese che è allo stesso tempo origine, transito e destinazione, intrappolato fra tensioni interne e pressioni esterne.
La figura dei harraga cambia volto nell’epoca degli smartphone. I social amplificano storie di successo e cancellano i rischi reali. Le lance veloci accorciano la traversata e alimentano l’illusione di un viaggio quasi turistico. La realtà è diversa: carburante scadente, motori improvvisati, orientamento affidato a app non progettate per la navigazione, condizioni meteo ignorate per incoscienza o necessità. E oltre la frontiera c’è un’altra traversata, quella burocratica, in un sistema di accoglienza per minori non accompagnati che non sempre garantisce percorsi stabili. Per gli adulti algerini, poi, i rimpatri restano una possibilità concreta, soprattutto se il dialogo diplomatico tra Madrid e Algeriprosegue.
Rimane il tema della trasparenza. Molti numeri citati nel dibattito pubblico, soprattutto quelli relativi alle singole nazionalità e sottorotte, non sono pubblicati in forma completa nei report mensili di Frontex o del Ministerio del Interior. Alcune cifre emergono da briefing, altre da estrazioni parziali, altre ancora da comunicati stampa. Il risultato è una discussione polarizzata, in cui stime e ordini di grandezza circolano senza contesto. Ma sui trend principali — aumento delle partenze dall’Algeria, centralità crescente delle Baleari, accumulo di sbarchi in finestre temporali ristrette — le fonti convergono.
Intanto resta l’immagine dei sette che cantano a poche miglia da Ibiza. Non è solo il racconto di un’avventura adolescenziale: è lo specchio di un malessere profondo, dove il desiderio di normalità — studiare, lavorare, “stare al mondo” — prende la forma di una fuga. Finché quel desiderio non troverà canali legali, mobilità credibile e opportunità reali su entrambe le sponde del Mediterraneo, i video continueranno a uscire dagli schermi e a imporre domande che nessun governo può permettersi di ignorare.
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