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11 Giugno 2025 - 11:36
Piemonte che ci piace: tre bambini arrivano da Gaza a Torino per essere curati (foto archivio)
In una regione che troppo spesso si divide tra slogan e polemiche, c’è anche chi preferisce agire in silenzio, con gesti concreti. È quanto accaduto in Piemonte, dove tre bambini palestinesi, provenienti dalla Striscia di Gaza, sono stati accolti all’ospedale infantile Regina Margherita di Torino per ricevere cure mediche urgenti.
L’annuncio è arrivato sui social dal presidente del Consiglio regionale Davide Nicco (Fratelli d’Italia), che ha voluto sottolineare la natura del gesto. “La popolazione inerme di Gaza va aiutata”, ha scritto. “C’è chi lo fa urlando nelle piazze, vandalizzando i centri delle città e incitando all’antisemitismo. Noi lo facciamo curando i bambini palestinesi nei nostri ospedali”.
Un messaggio netto, ma anche divisivo, che ha il merito di riportare al centro la dimensione umana e sanitaria di un dramma che spesso viene raccontato solo attraverso la lente della geopolitica e del conflitto. Tre piccoli pazienti, con nomi, volti e storie, sono giunti in Italia per ricevere cure che nella loro terra d’origine, sotto assedio e devastata dalla guerra, non potrebbero avere.
La struttura che li accoglie è una delle eccellenze pediatriche del Paese: il Regina Margherita è da anni un punto di riferimento per le missioni umanitarie e le emergenze internazionali. Medici, infermieri e specialisti sono già all’opera per garantire assistenza e supporto psicologico ai piccoli e — se presenti — ai familiari che li accompagnano.
Il gesto, pur calato in un contesto politicamente complesso, rimanda a una tradizione tutta italiana di solidarietà sanitaria. Da decenni il nostro Paese si rende disponibile ad accogliere e curare minori provenienti da zone di guerra, senza distinzioni politiche, religiose o etniche. E il Piemonte, in questo senso, ha sempre mostrato una capacità concreta di intervento, unendo competenza e umanità.
Dietro questa scelta ci sono organizzazioni internazionali, coordinamenti tra ambasciate, ONG e accordi istituzionali che permettono, quando le condizioni lo consentono, di far partire i piccoli pazienti da ospedali improvvisati nei territori palestinesi verso strutture sanitarie europee. Un’operazione complessa, che richiede logistica, autorizzazioni, mezzi di trasporto adeguati e soprattutto volontà politica.
Il post di Nicco, che chiude con un lapidario “Ognuno ha i suoi metodi”, è destinato a far discutere. Ma al di là del tono, resta il fatto concreto: tre bambini che, altrimenti, avrebbero avuto davanti a sé solo sofferenza, oggi hanno una possibilità di cura, e forse di guarigione. Ed è su questo che vale la pena soffermarsi.
Mentre nel mondo si moltiplicano tensioni, barricate ideologiche e scontri di piazza, un ospedale apre le sue porte, dimostrando che anche nelle istituzioni, quando si vuole, si può scegliere una strada diversa: quella del silenzio operoso, della cura come risposta alla violenza, della vita come priorità assoluta.
Non sono parole. Sono corsie, flebo, letti pediatrici e mani che lavorano. E in fondo, una regione intera che sceglie di stare dalla parte dei più fragili, senza bisogno di far rumore.
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