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In Consiglio Regionale parlano solo i patrioti, gli altri muti

Il centrodestra mette il bavaglio alle opposizioni: vietato parlare di Palestina, autorizzati solo gli elogi alla sede imbrattata di Fratelli d’Italia. Ma Pentenero, Disabato, Ravinale e Nallo non si inginocchiano e fanno saltare il teatrino

In Consiglio Regionale parlano solo i patrioti, gli altri muti

In Consiglio Regionale parlano solo i patrioti, gli altri muti

Alla fine l’hanno capita anche i muri di Palazzo Lascaris: non si può parlare di Palestina in Consiglio regionale. È troppo complicato, troppo rischioso, troppo... internazionale. Meglio far finta di niente. Meglio, molto meglio, difendere la sede di Fratelli d’Italia in Barriera di Milano da una bomboletta spray. Perché si sa, un insulto sul muro è una minaccia alla democrazia. Una strage di civili no.

La scena è questa: le opposizioni — Gianna Pentenero (PD), Sarah Disabato (M5S), Alice Ravinale (AVS) e Vittoria Nallo (SUE) — chiedono di discutere un atto per il riconoscimento dello Stato di Palestina. Il centrodestra si oppone. In compenso chiede di discutere il suo: una mozione per condannare il raid vandalico contro la loro sede. Insomma: “voi non potete parlare, ma noi sì”. Una democrazia a senso unico, con precedenza riservata ai patrioti certificati.

gaza

Ma questa volta la minoranza non sta al gioco. Decide di votare contro anche l’atto meloniano. Non perché non condanni la violenza (“l’avremmo approvato, lo abbiamo anche detto in aula”), ma perché la censura non può essere servita con la scusa della commozione selettiva. Se non si può parlare di Gaza, allora non si parla di niente.

La reazione è da teatrino: musi lunghi, dichiarazioni indignate, il solito ritornello dell’opposizione irresponsabile. Ma chi ha orecchie per intendere ha capito bene: il problema del Consiglio regionale non è chi protesta, ma chi decide cosa si può dire. Il regolamento, quel foglio sacro che vale tutto e il contrario di tutto, viene usato per cassare le istanze scomode. Altro che garanzia: è diventato il manuale d’istruzioni del silenziatore.

Lo si è visto chiaramente con l’ultima trovata del presidente del Consiglio Gianluca Nicco, che ha deciso di reinterpretare i question time come se fossero quiz a premi. Solo quelli che piacciono alla Giunta passano. Gli altri? Cestinati con garbo istituzionale.

Così saltano le discussioni sui ristori per la canapa agricola, devastata dai deliri proibizionisti del governo. Sparisce ogni accenno al Decreto Sicurezza e alle sue ricadute sulle carceri piemontesi. Nessuno fiata sulla manutenzione stradale che fa acqua da tutte le buche. E guai a citare i 48 milioni spesi per i medici gettonisti: un salasso rispetto al 2020. Ma se pensate che almeno le risposte alle interrogazioni passino veloci, vi sbagliate: “siamo costretti ad aspettare anche mesi”, dicono le opposizioni. A domanda non risponde, verrebbe da dire.

Intanto, il Consiglio si riduce a passerella autoreferenziale, dove la maggioranza detta l’agenda e gli altri possono solo battere le mani. Se ci riescono. “Il regolamento, che su tanti temi vediamo costantemente inapplicato, non può essere utilizzato per mettere il bavaglio alle opposizioni”, scrivono in una nota congiunta Pentenero, Disabato, Ravinale e Nallo.

Ma è come chiedere a chi tiene il microfono di passartelo: tanto sai che non lo farà.

E no, non c’è bisogno di fare i puristi del pluralismo per accorgersi della farsa. Qui non si tratta di punti di vista. Si tratta di potere. E di chi lo esercita come fosse una clava, usando la difesa della libertà solo quando fa comodo, e chiudendo la bocca a chiunque non si allinei.

Così funziona oggi il Piemonte della Giunta Cirio. Le opposizioni parlano se la maggioranza è d’accordo. Le domande passano se piacciono al partito. La libertà è condizionata, regolamentata, sterilizzata. Ma guai a dirlo:“offendete le istituzioni”.

No, cari consiglieri di maggioranza. Le istituzioni ve le state offendendo da soli. Un giorno dopo l’altro, un comma alla volta.

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