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Cronaca

Sempre più donne e bambini nelle Case rifugio: ma l’Italia non riesce a garantire un posto sicuro a tutte

Nel 2023 accolte oltre 7.700 persone, il 60% sono straniere. Al Nord più strutture e più copertura, ma il tasso nazionale resta ben sotto gli standard europei

Sempre più donne e bambini nelle Case rifugio

Sempre più donne e bambini nelle Case rifugio: ma l’Italia non riesce a garantire un posto sicuro a tutte

Nel 2023 oltre 7.700 persone hanno varcato la soglia di una Casa rifugio o di una struttura residenziale assistenziale in Italia per sfuggire alla violenza. Tra loro, 3.574 sono donne vittime di maltrattamenti, e 4.157 sono minori, figli spesso testimoni — o a loro volta vittime — di quella stessa violenza. È quanto emerge dal nuovo rapporto Istat, che fotografa una rete di protezione in espansione, ma ancora insufficiente.

Le Case rifugio sono aumentate del 3,1% rispetto al 2022, arrivando a 464 strutture, il doppio rispetto al 2017. Ma i numeri non bastano: il tasso di copertura si ferma a 0,15 ogni 10mila donne, ben al di sotto della soglia indicata dal Consiglio d’Europa (1 posto ogni 10mila). E il divario territoriale è netto: si passa dallo 0,21 del Nord-Ovest allo 0,09 al Centro e al Sud.

Le regioni settentrionali accolgono più donne. In particolare, il Nord-Est registra il tasso più alto (1,5 ogni 10mila donne), seguito da Nord-Ovest (1,2) e Isole (1,0). Al Centro e Sud, invece, il dato scende a 0,7, sotto la media nazionale di 1. Anche la presenza di minori nelle strutture è in crescita: nel 2023 sono stati 2.875 i figli accolti insieme alle madri, a cui si aggiungono 1.282 minori ospitati da soli in strutture non specializzate.

Il profilo delle donne accolte mostra una realtà complessa: oltre il 60% sono straniere, spesso senza permesso di soggiorno stabile, quindi più vulnerabili e meno tutelate. E non tutte riescono a concludere il percorso di uscita dalla violenza. Su 2.106 donne uscite nel 2023, solo 753 lo hanno fatto avendo raggiunto gli obiettivi del percorso. Ma 227 sono tornate dal maltrattante e 235 hanno abbandonato il progetto, spesso per difficoltà economiche, isolamento o paura.

L'importanza di avere luoghi sicuri per accogliere le vittime di violenza

Le Case rifugio sono in gran parte gestite da enti privati specializzati (78%), ma il 97,6% riceve fondi pubblici. Tuttavia, i finanziamenti non bastano a colmare la domanda, né a garantire l’autonomia reale delle donne una volta uscite dalle strutture. Mancano case, lavoro stabile, sostegno psicologico a lungo termine. E in 10 strutture non è previsto nemmeno l’ingresso dei figli, un ostacolo insormontabile per molte madri.

Eppure, non mancano le competenze. Il 93% del personale ha seguito una formazione specifica, e il 74% dei gestori opera nel settore da oltre 13 anni. I servizi offerti sono numerosi: supporto psicologico, legale, orientamento al lavoro, accompagnamento all’autonomia abitativa, tutela della genitorialità. Ma restano poco coordinati a livello nazionale, con differenze marcate da regione a regione.

Il dato più amaro? Quasi una donna su cinque torna indietro. Perché uscire dalla violenza è un percorso lungo e fragile, che non può reggersi solo su una stanza sicura. Servono politiche strutturali, educazione, prevenzione e continuità nel sostegno. Le Case rifugio non possono essere l’unico argine: devono diventare un primo passo in un sistema solido e duraturo di protezione e rinascita.

E finché una donna dovrà scegliere tra la violenza e il vuoto, nessuna sarà davvero libera.

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