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Cacciati come rifiuti, abbracciati solo dal freddo: Renato e Nerone ora vivono in strada

Un uomo e il suo cane, soli su un marciapiede, dopo lo sfratto. Nessun aiuto, nessuna alternativa, nessuna pietà. Questa è l’Italia che non sa più guardare negli occhi la sofferenza. Ma sa voltarsi benissimo dall’altra parte

Cacciati come rifiuti, abbracciati solo dal freddo: Renato e Nerone ora vivono in strada

Renato e Nerone

C’è un uomo, e c’è un cane. Non sono più dentro una casa. Non hanno un tetto. Non hanno un indirizzo. Da oggi, vivono nella strada. In mezzo a noi, ma come se non ci fossero.

Lui si chiama Renato Lecca. Ha 45 anni. Un passato solido, un presente fragile, un futuro tutto da reinventare. Il cane si chiama Nerone. Ha pochi mesi. È un cucciolo di cane corso, occhi profondi, andatura fiera, un cuore grande come il mondo che lo ha tradito. Insieme, da oggi, sono ufficialmente invisibili.

Non è una metafora. È una condanna. È un foglio di carta, una notifica firmata, un ufficiale giudiziario che bussa, e che dice: “Fuori. Ora.”

Il 13 aprile è arrivato. E ha fatto quello che prometteva: ha tolto tutto. L’unico rifugio in cui Renato e Nerone trovavano pace, l’alloggio comunale che avevano occupato a Rivoli dopo la morte di un amico – senza forzare nulla, senza togliere niente a nessuno – oggi è chiuso. Sigillato. Irraggiungibile. Il Comune ha vinto. Le carte bollate hanno fatto il loro corso. L’umanità ha perso.

Renato e Nerone

Renato e Nerone

Renato ci ha scritto. Ci ha inviato delle foto. Seduto per terra, su un marciapiede. Gli occhi bassi. Le spalle curve. Vicino a lui, Nerone. Silenzioso. Vigile. Fedelissimo. Un uomo e il suo cane. Come in una canzone, come in una poesia, come in una tragedia di quelle vere, dove non c’è lieto fine e non arriva mai il colpo di scena che salva tutto all’ultimo secondo.

Ma questa non è una storia da film. È la realtà. E in questa realtà, Renato non ha più una casa. Ha solo uno zaino, qualche coperta, due ciotole. E un materassino. Tutto qui. Tutta la sua vita.

Chi è Renato? Uno come noi. Un uomo che aveva un lavoro, una casa, una piccola impresa. Lavorava nel marketing, nella comunicazione, con clienti importanti come L’Oréal. Aveva sogni, progetti, idee. Viveva tra Torino e Milano. Aveva dipendenti. Poi è arrivata la crisi. Poi è arrivata la pandemia. Poi è arrivata la solitudine. E, come succede sempre più spesso, è bastato un attimo perché tutto crollasse.

Ha perso tutto. Ma non si è arreso. Non è diventato un numero, un alcolizzato, un disperato. Si è aggrappato a ciò che gli era rimasto: la dignità. E poi, un giorno, è arrivato Nerone. Era uno stallo temporaneo, un cane da accudire per un po’. È diventato una salvezza. “Nerone mi ha tirato fuori dal buio. Mi ha costretto ad alzarmi. A portarlo fuori. A respirare.” Non è solo un cane. È una terapia. È una ragione di vita. È un compagno.

Da quel legame, Renato ha ricominciato. Si è rimesso a lavorare, ha fatto il dog sitter, ha guadagnato qualcosa, ha cercato una nuova stabilità. Ma la vita, quando decide di calpestarti, spesso non si ferma.

Il contratto d’affitto in cui viveva non era mai stato registrato. Quando ha provato a regolarizzare la situazione, il proprietario l’ha minacciato. Aggredito. Renato ha sporto denuncia. Ci sarà un processo. Ma intanto, fuori. Fuori casa. Fuori dal sistema. Fuori da ogni diritto.

A dicembre ha deciso di occupare un alloggio comunale vuoto. Lì abitava un suo amico, morto. Aveva le chiavi. Nessuna serratura forzata. Nessuna violenza. Solo un gesto disperato: cercare un riparo. Ma la macchina burocratica non perdona. Non vede persone. Vede solo numeri. Leggi. Articoli. Sanzioni.

Il 16 gennaio Renato è convocato per l’unico incontro con servizi sociali e polizia municipale. Gli dicono che deve lasciare l’alloggio entro il 20 febbraio. Lui implora una proroga. Chiede di restare come ospite da un altro inquilino. Risposte? “Valuteremo.” Ma non valuteranno. Non decidono. Non agiscono.

Il tempo passa. Le settimane diventano giorni. I giorni diventano ore. E ora sono solo secondi.

Renato non vuole carità. Non vuole sconti. Vuole solo vivere con dignità. Lo dice, con una voce calma che spaventa. Perché non urla. Non impreca. È stanco. “Non voglio rubare niente a nessuno. Voglio solo un posto dove vivere con il mio cane.”

I servizi sociali gli propongono i dormitori. Ma lì i cani non sono ammessi. Nerone dovrebbe restare fuori. E allora? Allora Renato ha scelto. Ha scelto di restare con Nerone. E così ha perso tutto. Di nuovo.

Questa non è solo la storia di un uomo. È lo specchio di un’Italia che fallisce ogni giorno. Un’Italia che punisce chi cade. Che non sa accogliere. Che confonde l’assistenza con il fastidio. Un’Italia dove le istituzioni si nascondono dietro le regole e si tappano le orecchie davanti alla realtà. Un’Italia che abbandona.

Dove sono i politici? Gli assessori? I sindaci? I consiglieri che parlano di inclusione, di prossimità, di diritto alla casanei loro post Facebook pieni di filtri e buoni propositi? Dove sono ora, che un uomo e un cane dormono per strada a pochi metri dai loro uffici?

Dove sono le cooperative, le fondazioni, le parrocchie, i volontari delle parole e delle newsletter?

Dove siamo noi?

Renato ora è lì. Davvero. In strada. Sta cercando un posto dove passare la notte. Forse un parco. Un angolo di marciapiede protetto dal vento. Forse una stazione. Nerone gli lecca le mani. Non lo lascia mai. Lui, almeno, c’è.

Se non piangi leggendo questo, se non ti senti chiamato in causa, se non ti domandi “e se fossi io?”, allora abbiamo perso tutto. Non solo la casa. Abbiamo perso l’umanità.

Chiunque possa offrire una stanza, un alloggio temporaneo, un lavoro, un contatto utile, un supporto legale, un’idea, una soluzione… Chiunque abbia il coraggio di non girare la faccia, ora è il momento. Non domani. Non quando sarà troppo tardi. Adesso.

Scrivete. Telefonate. Passate parola. Fate girare questa storia.
Perché questa volta non possiamo dire “non lo sapevamo”.

Contatti per aiutare Renato Lecca
Per aiutare concretamente Renato e Nerone, per offrire un tetto, un aiuto economico, un posto di lavoro o un'idea, contattate la redazione a questa email media@giornalelavoce.it. Ogni gesto è una carezza. Ogni minuto è prezioso.

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