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Italo Calvino e i lavandai di Bertolla

Un pomeriggio, il protagonista del racconto decide di recarsi nel «paese dei lavandai»

italo calvino

Italo Calvino

Il 2023 che volge al termine è stato l’anno di Italo Calvino. Il poliedrico scrittore, infatti, nacque il 15 ottobre di un secolo fa, a Santiago de las Vegas, una cittadina cubana. Il padre, però, era di Sanremo; la madre, invece, prima donna a conseguire la libera docenza in Botanica presso un’università italiana, apparteneva a una famiglia sarda. Il ricordo dello scrittore è soprattutto legato al romanzo «Il sentiero dei nidi di ragno», ma anche a numerosi racconti. Fra questi, «La nuvola di smog», edito nel 1958 dalla rivista «Nuovi Argomenti» di Alberto Carocci e Alberto Moravia.

Il protagonista del racconto di Calvino è un anonimo redattore del periodico «La Purificazione», il quale incarna assai bene la crisi ideologica dell’intellettuale progressista dopo il turbinio di notizie sui crimini di Stalin e il soffocamento sovietico della rivolta ungherese. Egli scopre i lavandai di Barca-Bertolla e subisce il fascino di una realtà inattesa e straordinaria, avviata verso un rapido tramonto, contestualmente alla diffusione delle lavatrici domestiche.

Un pomeriggio, il protagonista del racconto decide di recarsi nel «paese dei lavandai». Riferisce: «Passai un ponte su un fiume, era mezzo campagna, le strade camionali erano ancora fiancheggiate da una striscia di case, ma subito dietro c’era il verde». Le lavanderie non si scorgevano dalle «strade carrozzabili […] fiancheggiate da una striscia di case», dietro le quali «c’era il verde»: occorreva cercarle, «cacciando gli occhi per ogni cancello d’aia e ogni sentiero». A un tratto, la biancheria sciorinata: «Ero uscito a poco a poco dall’abitato, e le file dei pioppi si facevano a ridosso della strada, segnando le rive dei frequenti canali. E là in fondo, oltre i pioppi, vidi un prato veleggiante di bianco: roba stesa».

Lavandai

Per il redattore alla ricerca di «una nuova immagine del mondo che desse un senso» al grigiore della vita e «valesse tutta la bellezza che si perdeva, salvandola», la scoperta racchiude qualcosa d’incantevole: «Presi per un sentiero. Larghi prati erano attraversati da fili ad altezza d’uomo e a questi fili erano appesi ad asciugare uno dopo l’altro i panni di tutta la città, ancora molli di bucato e informi, tutti uguali nelle grinze che la stoffa faceva al sole, e per ogni prato intorno si ripeteva questo biancheggiare delle file lunghissime di panni».

Il personaggio di Calvino nota che «altri prati erano spogli, ma anch’essi attraversati da fili paralleli, come vigneti senza viti». È una scena con cui pure la gente della Settimo Torinese aveva familiarità. Quante fotografie ritraggono i prati nella parte meridionale del territorio, con i pali e le corde di canapa a cui i lavandai appendevano i panni! All’improvviso, infine, ecco le persone al lavoro: «Io giravo tra i campi biancheggianti di roba stesa e mi voltai di scatto a uno scoppio di risa. Sulla riva di un canale, sopra una chiusa, c’era la sponda d’un lavatoio e di là con le braccia rimboccate, le vesti di tutti i colori, s’affacciarono alte sopra di me le facce rosse delle lavandaie e ridevano e ciarlavano, le giovani coi petti sotto le bluse che andavano su e giù, le vecchie grasse coi fazzoletti in capo, e muovevano avanti e indietro le braccia rotonde nella saponata e strizzavano con moto angoloso dei gomiti i panni attorcigliati».

La ricerca termina lì. Fra i prati, le donne andavano e venivano, «come vendemmiassero, a staccare la biancheria asciutta dai fili»: «la campagna nel sole dava fuori il suo verde tra quel bianco, e l’acqua correva via gonfia di bolle azzurrine».

«Si tratta di un’allegoria vuota, di un’immagine consolatoria priva di ogni referente di realtà», chiosano i critici letterari». Conclude Italo Calvino: «Non era molto, ma a me che non cercavo altro che immagini da tenere negli occhi, forse bastava». 

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