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Lo stiletto di Clio

Il ritorno del lupo nel torinese

Che i lupi siano tornati a costituire un problema nella provincia di Torino, non soltanto in alcune sperdute aree montane, è indubbio.

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Che i lupi siano tornati a costituire un problema nella provincia di Torino, non soltanto in alcune sperdute aree montane, è indubbio. Si ripropone così la primordiale questione della durissima contesa fra uomini e animali selvaggi per il controllo del territorio.

Di recente, in nome di una malintesa sensibilità verso la natura, l’ambiente e la fauna, alcuni ritengono che le fonti storiche relative agli assalti delle fiere a danno delle persone, specie dei bambini, siano prive di credito. La diatriba nasce dal fatto che queste ultime attestano come i lupi rappresentarono, per secoli, una reale minaccia in diverse zone del Piemonte, fra cui il Canavese e la pianura attorno a Torino. Il che è attualmente posto in dubbio. Vale la pena di sintetizzare la faccenda.

Nella nostra regione, evitando di andare a tempi antidiluviani, i lupi si moltiplicarono soprattutto durante il governo francese, fra il 1802 e il 1814, divenendo assai temibili per donne, fanciulli e adolescenti. I registri di morte delle parrocchie confermano che le vittime furono numerose, ma non quanto lasciano intendere gli atti delle autorità civili, le quali rivelano, invece, una vera psicosi del lupo. Le ricerche hanno evidenziato tale anomalia anche in regioni prossime al Piemonte, ad esempio nel Delfinato francese, durante l’Antico Regime.

Dopo il 1818, il pericolo delle fiere andò rapidamente scemando, seppure in tempi e con ritmi diversi a seconda delle aree geografiche.

Tuttavia uccisioni di singoli animali – per tacere dei semplici avvistamenti – continuarono a verificarsi con una certa regolarità (fra le altre, una a Castagneto Po nel 1836 e ben tre a Caluso – 1837, 1842 e 1848 – anche se le notizie necessitano di riscontri).

Nel 1832 i lupi tornarono a infestare numerosi luoghi della provincia di Torino. Il 6 gennaio di quell’anno, un animale fu abbattuto nei boschi di Stupinigi: il cavaliere Luigi Bruno di Cussanio, comandante militare di Torino, avvertì le comunità che il re Carlo Alberto di Savoia Carignano, afflitto dalla «sventura occorsa ad alcuni individui, periti […] d’idrofobia in seguito a morsicature riportate da lupi apparsi nel gennaio» precedente, aveva disposto uno «straordinario premio di lire mille, senza pregiudizio delle ricompense solite corrispondersi dalle Regie Finanze» a chi ne avesse ucciso uno. I sindaci dei comuni furono altresì sollecitati a «impiegare tutti quelli speciali mezzi» che potevano suscitare entusiasmo per la nobile impresa «di ottenere lo sterminio» delle «terribili belve».

A quanto sembra, l’uccisione di «un bel numero di animali», come si evince da una circolare del 14 aprile 1833, indusse a credere che il flagello fosse terminato. Quello stesso mese, invece, i lupi riapparvero, persuadendo le pubbliche autorità a deliberare un nuovo premio di trecento lire.

Con le regie patenti del 29 dicembre 1836, Carlo Alberto approvò un’organica legislazione venatoria che doveva impedire sia «la distruzione del selvaggiume» sia i danni all’agricoltura.

La caccia fu proibita dal 15 marzo al 15 agosto; s’introdussero le «permissioni […] personali e durative per un anno»; si ribadì il divieto di uccidere alcune specie animali (cervi, daini, caprioli, «fagiani gentili» e stambecchi); ecc. Dalle restrizioni era esclusa, «in qualunque tempo», la caccia al lupo, all’orso e a tutte quelle bestie per la cui cattura si accordava un premio. «Queste caccie però – fu disposto – dovranno essere fatte o dai soldati delle compagnie dei bersaglieri delle Alpi o da altre nostre truppe a ciò comandate od essere dirette dal sindaco del Comune in cui saranno autorizzate dall’autorità competente».

In foto Il lupo in una stampa ottocentesca

Il problema della coabitazione fra uomini e animali selvatici assunse aspetti nuovi in conseguenza dell’accresciuta spinta all’antropizzazione del territorio, la quale sottrasse spazi vitali alle fiere. Fra il 1734 e il 1806, per citare qualche dato, Chivasso passò da 3.762 a 5.535 abitanti, registrando un incremento positivo del 47 per cento in un settantennio.

Nel medesimo periodo, gli abitanti di Brandizzo salirono da 721 a 1.146 (con un aumento del 59 per cento), quelli di Settimo da 1.547 a 2.500 (62 per cento), quelli di Verolengo da 2.380 a 3.448 (45 per cento) e così via.

Per i lupi, in buona sostanza, non vi era più posto. Sennonché, oggi... 

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