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Memoria, impegno e testimonianza: don Ciotti diventa cittadino onorario di San Mauro Torinese

Venerdì scorso la cerimonia al Gobetti. Due ore intense e cariche di emozione: la nascita del Gruppo Abele e di Libera, l’incontro con Falcone e con un senzatetto che gli ha cambiato la vita

«Questo ringraziamento non lo date a don Luigi Ciotti. Lo sottolineo: io rappresento un “noi”. Un noi che è importante, fondamentale. Vi prego di diffidare dei navigatori solitari». Queste sono state le parole che il sacerdote, veneto d’origine ma torinese d’adozione, ha scelto lo scorso venerdì sera durante l’incontro pubblico a San Mauro Torinese, quando ha ricevuto la cittadinanza onoraria del Comune e le chiavi della città.

I sanmauresi hanno accolto don Ciotti con calore umano e grande partecipazione, riempiendo il cinemateatro Gobetti, tanto da costringere alcuni cittadini ad assistere in piedi alla cerimonia. Un evento durato più di due ore. Due ore molto intense, cariche di ricordi, di emozione e di condivisione. Tanto per le istituzioni locali, quanto per don Ciotti e per il pubblico.

A inaugurare la cerimonia è stata Giulia Guazzora, sindaca di San Mauro Torinese: «Questo è un grande piacere, una grande testimonianza di gratitudine e di affetto nei confronti di don Luigi da parte della nostra città. È una serata veramente speciale per la nostra città: ne capitano poche. Ed è sintomo di un legame, di un “noi” che don Luigi ha predicato in tutti questi anni».

Don Ciotti e la sindaca Guazzora

Già negli scorsi mesi, infatti, il Consiglio comunale si era espresso con favore unanime al conferimento della cittadinanza onoraria al fondatore del Gruppo Abele e di Libera. Una scelta tutt’altro che casuale o simbolica, vista la presenza di tali associazioni sul territorio sanmaurese, con la struttura di Villa Santa Croce, inaugurata nel 2018, che accoglie donne, minori, migranti e rifugiati di guerra, e la comunità Mamma-Bambino a Villa Ulrich, attiva dal 1992, che offre sostegno a mamme e figli in condizioni di fragilità sociale; si aggiunge poi il presidio Lea Garofalo, legato alla rete di Libera. Associazioni che hanno reso il territorio più solidale e più capace di guardare al prossimo.

«Fin dall’inizio degli anni ’90, la comunità di San Mauro ci ha accolti – ha fatto sapere lo staff di Villa Ulrich, legata al Gruppo Abele – andando incontro a dei bisogni, accogliendo mamme e bambini in situazioni di fragilità, oltre che bambini piccoli in stato di abbandono e sieropositivi. Per noi è stato fondamentale il lavoro dei volontari di questo territorio».

Villa Santa Croce è invece attiva da 7 anni. «Un tempo questa struttura era un luogo di sosta e di preghiera. È diventata una casa famosa perché ci veniva a pregare Pier Giorgio Frassati», hanno fatto sapere dall’associazione.

Dopo la consegna di un dono anche da parte del presidio Libera “Lea Garofalo”, è arrivato il momento più solenne della serata. La consegna della cittadinanza, delle chiavi della città e un lungo e appassionato discorso di don Ciotti sul suo percorso spirituale e umano.

«Tanta gratitudine e tanta consapevolezza, essere cittadino onorario di “San Mò”. Altre volte sono stato a San Mauro: ho trovato proprio in questi giorni un piccolo dono che mi era stato fatto dalla scuola della Terza Età, l’Unitre. Mi fa molto piacere tutto questo che voglio condividere con voi, ma ripeto: l’impegno non è mai stato solo mio. Questo riconoscimento è dedicato a tutte le persone che vivono nella realtà che io vivo, il Gruppo Abele. Quest’anno compie 60 anni», ha fatto sapere don Luigi Ciotti, prima di riepilogare la nascita dell’associazione, avvenuta quando lui era ancora ragazzo, e non sacerdote.

«Ci sono degli incontri che cambiano la vita. Alcuni incontri sono di affetto, di amore. Si costruiscono percorsi della vita. Altri incontri sono magari di fragilità, di sofferenza, di vicinanza alla fatica e alla speranza di tante persone. Non dimenticherò mai un incontro che ha cambiato la mia vita: un signore con degli stracci addosso, su una panchina di Torino. Leggeva tanti libri, e con delle matite li sottolineava. Avevo 17 anni», ha aggiunto il parroco.

Luigi Ciotti era infatti arrivato a Torino all’età di 5 anni, emigrato con la sua famiglia dal Veneto. Aveva percepito un’iniziale fatica nel calarsi in una realtà più grande di Pieve di Cadore: quella di una grande città.

«Un giorno ho vinto la mia timidezza. Sono sceso dal tram, sono andato da quell’uomo e gli ho chiesto una cosa semplicissima: “Vuole un caffè?”. Era il modo per cercare di avere una relazione. Ma lui non mi ha risposto. Pensavo fosse sordo, ma non era così. A 17 anni, per la prima volta, ho visto gli occhi della disperazione di un uomo. Quegli occhi non li ho mai dimenticati», ha ricordato commosso don Ciotti.

«Per 12 giorni ho continuato a scendere dal tram e ad andare da lui: ho percepito dei non-detti dentro a quella persona. Io non l’ho mollato. Dopo 12 giorni, disse le sue prime parole. Io a quest’uomo devo moltissimo. In quegli anni non si parlava di droga, ma lui ne sapeva qualcosa. Chi era questa persona finita su una panchina di Torino? Un medico. Tempo dopo mi ha fatto vedere dei ragazzi che entravano in un bar. Che cosa facevano? Si procuravano dei “farmaci”. Lui voleva farmi vedere tutto questo».

Così che nata per la prima volta l’attenzione di don Ciotti verso chi è affetto da tossicodipendenze. E così è nata l’idea del Gruppo Abele, sfidando anche la legge. In quegli anni, i medici erano infatti obbligati a denunciare penalmente chi consumava le sostanze.

«Ci eravamo autodenunciati – ha ricordato don Ciotti, e con un bravo questore e dei bravi giudici riuscimmo poi a ottenere un cambiamento. Prima l’Italia negava il problema della droga. Dopo il sesto ragazzo morto, tra cui una ragazza di 15 anni, ci fu uno sciopero della fame a Torino. Di quelli veri. Era arrivata l’eroina. Lì è nata la nostra battaglia per chiedere di cambiare quella legge».

Il commosso intervento di don Ciotti

Diversa è invece la storia di Libera, nata dopo la strage di Capaci del 1992. Anche in questo caso, fu un incontro fondamentale a cambiargli la vita, quasi un segno:

«Due mesi prima della strage, ero con Giovanni Falcone a Gorizia. Io ero lì per il Gruppo Abele, Falcone era lì per un corso di formazione per funzionari della Polizia di Stato sul tema delle dipendenze. Al termine della giornata, io e Falcone ci siamo dati una bella stretta di mano, dandoci appuntamento per un caffè. Io e lui non l’abbiamo mai più preso. Ma quel caffè mai più preso fu un segno. Io il 23 maggio 1992 ero in Sicilia, a tenere un corso nelle scuole sulle dipendenze per gli insegnanti. 57 giorni dopo, ci fu la strage di via D’Amelio. E io ero a Palermo. Un’altra strage, altri giovani morti, tra cui una 24enne: Emanuela Loi. E lì che il Gruppo Abele si pose una domanda: cosa possiamo fare in più? Mafia e droga sono collegate».

Don Ciotti, nel concludere la densa serata, ha rivolto infine un appello ai più giovani, affinché si rivolgano all’altro e lo sappiano accogliere, ma ha rivolto anche un invito a prestare attenzione alle mafie, che «oggi uccidono di meno ma sono sempre lì; hanno cambiato forma, e se uccidono di meno vuol dire che sono più forti».

Dopo la cerimonia, numerosi sono stati i rappresentanti delle istituzioni – di San Mauro, ma anche di Gassino e San Raffaele Cimena –, le forze dell’ordine, l’ANP e tanti cittadini comuni che sono andati a salutare e abbracciare commossi don Ciotti. La sua testimonianza, il suo impegno, il suo esempio. Questo è ciò che resterà ai sanmauresi dopo l’incontro con il loro nuovo concittadino: don Luigi Ciotti.

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