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09 Settembre 2025 - 20:31
La Family Boat, ammiraglia della spedizione con attivisti da 44 Paesi e bandiera portoghese, denuncia un attacco dall’alto nel porto tunisino: nessun ferito, danni gravi a ponte e stive. Il ministero dell’Interno tunisino parla di incendio a bordo. Reazioni politiche in Italia ed europee, mentre Francesca Albanese è sul molo: «Se confermato, sarebbe un’aggressione alla sovranità tunisina»
È successo «in pochi secondi»: un ronzio, poi un bagliore e «il botto». A bordo qualcuno urla «al fuoco» e scatta l’allarme. La notte tra l’8 e il 9 settembre, la Global Sumud Flotilla – missione civile diretta verso Gaza – denuncia che la sua imbarcazione principale, la Family Boat (con i membri del comitato direttivo e bandiera portoghese) è stata colpita da un drone mentre era alla fonda davanti al porto turistico di Sidi Bou Saïd, vicino Tunisi. I video diffusi dagli organizzatori mostrano «un oggetto» che arriva dall’alto e un’esplosione sul ponte: a bordo nessun ferito, ma danni importanti al ponte superiore e a parte dei vani di stivaggio. La Tunisia però nega: «Non è stato rilevato alcun drone», sostiene la Guardia nazionale, parlando di un incendio originato dai giubbotti di salvataggio. Un contenzioso immediato, innescato da immagini che confliggono con la versione ufficiale e da un caso diplomatico che rischia di crescere. ReutersIl PostSky TG24
Gli attivisti insistono: «È stato al 100% un drone che ha sganciato l’ordigno sopra i giubbotti di salvataggio. Improvvisamente tutto il ponte è andato a fuoco. Abbiamo preso gli estintori e domato le fiamme. Non ci fermeremo». La Relatrice speciale ONU per i Territori palestinesi Francesca Albanese, che vive a breve distanza, è arrivata nella notte al porto: «Se fosse confermato che si tratta di un attacco con drone, sarebbe un’aggressione contro la Tunisia e la sua sovranità», ha detto, rilanciando i filmati e invitando a «trarre le proprie conclusioni» davanti a rumori, lampi e richieste d’aiuto che si sentono nelle registrazioni.
Sulla natura dell’impatto si muovono anche verifiche giornalistiche indipendenti. La BBC – riferiscono diverse testate – ha fatto analizzare i video a specialisti come David Heathcote (McKenzie Intelligence Service), secondo cui la dinamica «appare compatibile con un oggetto sganciato dall’alto», ipotesi che «solleva dubbi» sulla versione tunisina. In attesa di un’inchiesta formale di Tunisi, la prima ricostruzione internazionale più circostanziata resta quella dell’agenzia Reuters: presunto attacco con drone, danni a bordo, nessun ferito; smentita ufficiale tunisina; assenza al momento di commenti da parte israeliana.
Intanto la banchina si riempie. Bandiere palestinesi, cori «Free Palestine», attivisti che parlano di «atto intimidatorio» per fermare la navigazione verso Gaza. A bordo della Flotilla – una ventina di imbarcazioni coinvolte in fasi diverse, partite da Barcellona a fine agosto – è presente anche Greta Thunberg; tra i politici europei c’è la portoghese Mariana Mortágua. Il quadro d’insieme lo riassume ancora Reuters: una missione umanitaria che rivendica la rotta verso un territorio sottoposto da anni al blocco navale israeliano, e un episodio che incrina la tenuta diplomatica nel Mediterraneo centrale.
Le reazioni accendono il fronte italiano. La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, parla di «solidarietà» alla Flotilla e chiede che «l’Unione europea e i governi tutelino la missione umanitaria». Dal governo, la linea del ministro degli Esteri Antonio Tajani – in interventi separati, nei giorni scorsi, sul perimetro delle competenze – è di attendere gli esiti delle verifiche locali e ricordare i limiti giurisdizionali del caso (nave portoghese, acque tunisine). Sullo sfondo, la premier Giorgia Meloni aveva già replicato alle sollecitazioni dell’opposizione assicurando che «saranno adottate tutte le misure di tutela e sicurezza dei connazionali all’estero».
In porto c’è anche la politica internazionale. La Relatrice ONU Albanese abbraccia Thunberg, definendo gli attivisti «un esempio di umanità» e chiedendo corridoi umanitari. La Tunisia – che ospita la Flotilla alla fonda – difende pubblicamente la propria versione, con il portavoce Houcem Eddine Jebabli che ribadisce l’assenza di droni nelle rilevazioni e un focolaio partito a bordo. Due narrative in rotta di collisione, destinate a misurarsi con gli accertamenti tecnici: analisi dei residui, ispezione dei cablaggi, tracciamento radar, eventuali registrazioni marittime e aeronautiche. Nel frattempo, la Family Boat è inoperativa: «Danni gravi a ponte e albero, parte della stiva bruciata», dicono gli organizzatori.
C’è un fatto, al netto delle interpretazioni: nessuno è rimasto ferito. Ma la sicurezza delle navi civili che si muovono in contesti ad alta tensione torna al centro. Gli attivisti parlano di «atto di guerra contro civili»; Tunisi richiama la prassi di indagine amministrativa per incidenti in porto. E nel mezzo c’è il mare, dove la legalità si intreccia con la geopolitica: chi ha la responsabilità di prevenire e sanzionare un attacco (se tale sarà qualificato) contro una barca ancorata in acque territoriali? Quali regole d’ingaggio valgono per i droni che sorvolano infrastrutture marittime e unità civili? Domande che oggi pesano più di uno slogan e che chiamano in causa Tunisia, UE e Nazioni Unite.
La Flotilla, intanto, non si ferma. «La nostra missione umanitaria prosegue», dicono dal molo. È attesa per giovedì la partenza della delegazione italiana da Siracusa, con un punto stampa al porto nella stessa mattina. «Tutelare attivisti e operatori umanitari» è l’appello che rimbalza dalle opposizioni in Parlamento, mentre sul web circolano nuovi frame dei filmati notturni: inquadrature dall’interno della Family Boat e da un’altra imbarcazione confermano l’arrivo dall’alto di un oggetto prima dell’incendio. Il dibattito – acceso – è destinato a durare fino alle risultanze peritali. Fino ad allora, restano due certezze: le immagini e la negazione. E una parola che, comunque vada, pesa: deterrenza.
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