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Settimo Torinese
04 Maggio 2023 - 16:26
I settimesi si ritrovano in piazza per il 25 aprile tutti gli anni, per dire “no” a tutte le guerre del mondo. E’ un rito che coinvolge tante associazioni, tanti adulti e un discreto gruppo di giovani. Una celebrazione accompagnata dal Corpo musicale “Città di Settimo”, anima e colonna sonora di tanti momenti speciali.
Foto di Tancredi Pistamiglio
Ai ragazzi sul palco sono stati affidati i volti della partigiane settimesi, un gruppo che ha scritto la storia di quella Resistenza. Gli uomini avevano i fucili, ma le donne affrontarono quel momento storico spesso senza armi ma con la forza del coraggio. Erano staffette, portavano viveri e messaggi ai partigiani, rischiavano la vita ma non rinunciarono a dare il proprio contributo per la libertà. Le donne settimesi insignite di qualifica (partigiana, patriota, benemerita) furono 32, nate in Settimo o residenti in Settimo all’epoca dei fatti. Undici erano le donne presenti in piazza della Libertà il 25 aprile 1976, e alcune altre, all’epoca residenti in Settimo, ricevettero l’attestato di benemerenza e la stella garibaldina a casa.
Alcune sono state identificate nella cronaca dell’epoca con il cognome del marito, altre, benché avessero fatto attività insufficiente o saltuaria (secondo i criteri stabiliti dalla Commissione militare preposta), nel 1976 ricevettero il riconoscimento perché parenti di caduti.
Sono saliti sul palco non solo una rappresentanza del consiglio comunale dei ragazzi, ma anche alcuni alunni della 3ª B della scuola media «Guerrino Nicoli» e alcuni ragazzi della scuola Enaip “Don Luigi Paviolo», affiancati da Teresina Actis, figlia della partigiana combattente Vera Verga, e Adriano Quassolo, figlio del partigiano combattente Andrea Quassolo e della patriota Aldeghi Franca.
Sul palco, oltre alle autorità era presente anche il patriota Ubaldo Ballarini.
“Abbiamo il dovere e la responsabilità di trasmettere il valore della Resistenza - ha detto la presidente del Consiglio Carmen Vizzari - e dobbiamo insegnare ai giovani a non abituarci alle disuguaglianze”. Un concetto poi ripreso anche dalla sindaca nel suo intervento. “La Resistenza è in tempo presente, perché non dobbiamo dimenticare ciò che abbiamo avuto la fortuna di ereditare. Anche se quel conflitto è sempre più lontano da noi - ha detto la sindaca Elena Piastra - dobbiamo fare opposizione e dire che non è vero che ci sono i “diversi”, capri espiatori su cui sfogare la nostra rabbia. Dobbiamo tornare a parlare della diversità, difendere i più fragili, parlare di salute mentale: è questa la nostra Resistenza”. Ha concluso poi il presidente dell’Anpi di Settimo, prima di dare la parola a Marta Rabacchi: “In effetti, l’identità di una città è una memoria che si fortifica e si tramanda - ha aggiunto Silvio Bertotto, dopo l’intervento della sindaca - . L’antifascismo appartiene alla storia di questa città”.
Prima di raggiungere piazza della Libertà, il corteo ha fatto visita al cimitero di via Milano per onorare i defunti delle guerre. Ad accoglierli c’era don Paolo Mignani che ha messo la pace al centro della sua appassionata omelia “Sui mezzi di informazione nessuno parla di pace, eppure ci sono guerre sanguinose in tutto il mondo. L’unico è papa Francesco. - ha detto - Dai tempi di Caino e Abele non abbiamo ancora imparato che non si uccidono i nostri fratelli”.
Marta Rabacchi al Centro
Questo è il discorso dell’oratrice del 25 aprile, Marta Rabacchi.
Stamattina sono con noi una delegazione del consiglio comunale dei ragazzi, una rappresentanza della classe 3a B della scuola «Guerrino Nicoli» e i giovani studenti della scuola Enaip «Don Luigi Paviolo». Li ringraziamo per essere qui, tenendo fede – pur in una così bella giornata di primavera – ad un impegno assunto.
Questi giovani hanno portato qui, sul palco, queste grandi fotografie. Se osserviamo le signore che vi sono ritratte, s’intuisce che avevano un motivo speciale per essere tutte insieme in piazza della Libertà, in questa piazza, il 25 aprile di quasi cinquant’anni fa. Era il 1976, trentunesimo anniversario della Liberazione. Intervennero l’allora sindaco Tommaso Cravero e il presidente onorario dell’Anpi, il partigiano Bruno Venturelli, nome di battaglia Aldo, che nella Resistenza si era unito alla formazione partigiana di suo figlio Valter, caduto in combattimento a Bagnolo Piemonte.
Il 25 aprile 1976, in piazza della Libertà, erano in attesa undici donne. Da sinistra a destra, Piera Trombetta, Edda Venturelli, Luigia Cislaghi (nome di battaglia Fiore), Aurora Aldeghi (Fiamma), Vera Verga (Graziella), Margherita Roasio (Zara), Teresina Bruno (Topolino), Nella Boeris (Nuvoletta), Emma Balocco (Fiore), Anna Maria Arpicco (Marica) e Franca Aldeghi (Fiorella). Erano state invitate per ricevere un diploma di benemerenza e la stella garibaldina.
Ad alcune di loro era stata conferita la qualifica di partigiana, ad altre di patriota, ad altre ancora di benemerita, secondo le posizioni definite dalla Commissione militare preposta. Non si presentarono tutte, alcune ricevettero la benemerenza a casa, altre, forse trasferitesi, non ne ebbero notizia. Oggi sappiamo che furono ben trentadue le donne di Settimo Torinese insignite di qualifica dalla Commissione militare.
Ada Prospero Marchesini Gobetti, alla quale dobbiamo il bellissimo «Diario partigiano», nominata subito dopo la Liberazione vicesindaca di Torino, nel 1953, sulla partecipazione delle donne alla Resistenza, così sintetizzava: «Pur avendo compiuto le indagini più attente, al Distretto di Torino, ai ministeri di Roma, al Comando Militare della Regione Piemonte, ai comuni d’origine, presso i Comandi delle formazioni partigiane, la storia delle donna italiana nella Resistenza deve essere ancora scritta». Troppo poco si sapeva, infatti, e i numeri di per sé non danno conto compiutamente della storia.
Non siamo qui, oggi, solo per ricordare il tributo di sangue delle partigiane, né per insistere sul ruolo importantissimo, se non decisivo, di quante decisero di schierarsi, né per restituirne un ritratto agiografico.
Eppure, ormai è un fatto acquisito, l’importanza della Resistenza civile, fatta di rete di relazioni, informazione, protezione, approvvigionamento, sostegno, soccorso, e del suo ruolo decisivo a fianco della Resistenza in armi.
Tanto più nelle città e anche nelle piccole comunità com’era Settimo Torinese, dove l’intreccio di relazioni e la fiducia reciproca giocò un ruolo essenziale per sostenere i ragazzi che erano andati a fare i partigiani a «Pian Audi», a Corio, nel Canavese e nelle Valli di Lanzo, e per partecipare all’attività della «Brigata Patria» poi della Sap «Guerrino Veronese».
Come ci disse la partigiana Fiamma, «non si lottava solo in montagna, ma anche in pianura. Tutto partì dal piano, i ragazzi che presero la via della montagna mancavano di ogni cosa…».
Si è detto che «le donne hanno avuto l’opportunità di dare appoggio alla Resistenza», ma «la guerra la fanno gli uomini, di fatto la Resistenza l’hanno fatta gli uomini».
Ada Gobetti, una donna che la guerra partigiana l’aveva fatta, allora, scrisse che «la guerra partigiana – guerra senza uniformi e senza galloni – sarebbe stata impensabile senza la collaborazione di queste semplici, dimesse guerriere».
Chi furono, allora, coloro che fecero la Resistenza?
Donne e uomini d’ogni categoria, d’ogni mestiere, d’ogni professione. Donne e uomini d’ogni fede: religiosa, politica, filosofica.
Per Ada Gobetti, «fu questo il miracolo della Resistenza.
Il miracolo dell’unità nella Resistenza non fu dato dall’odio comune per il fascista e per l’invasore tedesco. L’odio non basta a spiegare, l’odio sa distruggere, non può creare». «La Resistenza – dice Ada Gobetti – fu un fatto essenzialmente creativo, positivo e rivoluzionario, non fu il desiderio di tornare al passato, ma il senso – più o meno consapevole – di lavorare per l’avvenire».
Noi, oggi, siamo qui per riaffermare che le donne e gli uomini della Resistenza ci diedero un’Italia libera, democratica, restituirono la fiducia nel futuro a un popolo che, dopo cinque anni di guerra e di privazioni, voleva un altro domani.
Il domani venne prima con la Repubblica, che alle italiane portò il diritto di voto, e poi la Costituzione, entrata in vigore il 1° gennaio del 1948. All’Assemblea costituente vennero elette ventuno donne, differenti tra di loro per estrazione sociale e idea politica, con l’obiettivo comune - pur nelle differenze - di dare alle italiane uno statuto nuovo, di farle uscire dallo stato di minorità nei rapporti politici, sociali e familiari, di essere cittadine con pari diritti e – come poi si sarebbe detto – con pari opportunità.
Con la Costituzione e l’Italia repubblicana, infatti, le donne conquistarono ciò che il fascismo aveva promesso e non mantenuto (come il diritto al voto), ma conquistarono anche ciò che il fascismo aveva sempre negato: il diritto ad una pari retribuzione e a costruirsi una posizione personale e professionale secondo le proprie aspirazioni e capacità.
Le donne elette alla Costituente diedero un decisivo contributo alla stesura degli articoli relativi ai diritti e doveri dei cittadini e in campo economico e sociale.
Da allora le lotte delle italiane per i diritti e le libertà non si sono mai fermate.
A distanza di tanti anni dalla proclamazione della Repubblica, democratica e antifascista, come la vollero i costituenti, possiamo dirci che le loro aspettative, le speranze di coloro che la Resistenza l’avevano fatta, non sono andate deluse?
Ahimè, dobbiamo dirci – con una certa amarezza- che in questo Paese ci sono ancora troppe ingiustizie, diseguaglianze, intolleranze, e che – anzi – si affacciano risentimenti e paure, si manifestano disamore per la cosa pubblica, disinteresse verso l’esercizio di un diritto fondamentale come quello del voto, scarso patriottismo costituzionale, che certa politica non fa che alimentare.
Ai nostri giovani offriamo un futuro incerto, una società piena di risentimento, un mondo nel quale sembra affermarsi la normalità della guerra, un domani al quale non guardare con speranza.
Abbiamo anche – per fortuna – esempi di solidarietà, impegno sociale e civile, interesse per il nostro patrimonio artistico e ambientale, che si esprime in un’ampia rete di relazioni e associazioni. Qualcosa di buono quindi, che dobbiamo sostenere e alimentare.
Con questo 25 aprile ci avviciniamo all’ottantesimo anniversario della nostra Liberazione.
Quest’anno ricorrono anche altre due date cruciali per l’Italia: il 25 luglio 1943, quando si seppe dell’arresto di Benito Mussolini e l’illusione che il fascismo fosse finito e con esso la guerra, e l’8 settembre 1943, giorno nel quale venne reso noto l’armistizio con le forze angloamericane, alimentando così la speranza di un rapido ritorno alla pace. Invece doveva esserci la Resistenza per farla davvero finita con il fascismo e con la guerra nella quale il fascismo ci aveva rovinosamente trascinati a fianco della Germania nazista.
Ci volle la Resistenza, ci volle l’incontro tra anime politiche e culturali differenti, ci volle la convinzione comune di farla finita con un regime fatto di privazione delle libertà fondamentali, che tanti lutti aveva portato all’Italia, per far nascere la Repubblica e la pace.
Molti cercheranno di convincerci che, a distanza di tanto tempo, a nulla vale ricordare, a nulla vale riflettere, a nulla vale richiamarsi all’eredità morale della Resistenza. «Resistere - ci ha ricordato il nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella - fu anzitutto un’assunzione di responsabilità personale, talvolta pagata con la vita». «Una disponibilità al sacrificio, una scelta rischiosa fatta come atto di amore per la Patria, per la propria comunità».
«Questo» – ci ha detto il presidente Mattarella – è il lascito più vivo della Resistenza, il patrimonio di ideali e di valori ha continuato a parlarci così a lungo e ci sostiene, oggi, nelle difficoltà del presente». Il 25 aprile rappresenta perciò uno spartiacque imprescindibile nella nostra storia nazionale.
Dal «nostro» 25 aprile, nella ricorrenza della data scelta per indicare la fine della guerra sul nostro territorio, viene un appello alla pace e al rispetto dell’umanità, nei luoghi dove si muore, come nelle acque del nostro mare e nei Paesi martoriati dove si combattono le guerre di sempre, dimenticate o taciute, e le guerre nuove.
Dal 25 aprile viene un appello a non ad arrendersi di fronte alla prepotenza, a lottare contro la sopraffazione e a lavorare attivamente per arrivare alla pace. Dalla fine del secolo scorso, la guerra ha assunto un qualche carattere di normalità. Ad essa, di volta in volta, sono stati associati dei concetti che, l’hanno resa ancora più mostruosa.
Non esiste infatti – e la storia lo prova – una guerra preventiva, una guerra giusta, né una guerra umanitaria.
La guerra non è «un’operazione militare speciale», né può assimilarsi a «degli aiuti».
La guerra – ahinoi – è tornata ad essere un’opzione politica «normale». La pace – ricordiamolo – non è assenza di guerra, ma un attivo lavoro politico di rifiuto della guerra come forma e pratica «vincente della politica». E’ stato detto che non ci sono guerre innocenti, con il loro portato di lutti e sofferenze, né quelle che furono combattute ieri e nemmeno quelle di oggi, di questo dobbiamo essere tutti dolorosamente consapevoli. Richiamare alla mente il contenuto dell’articolo 11 della nostra Costituzione e il grido di ripudio della guerra, scritto proprio da quella generazione che si trovò a scegliere di combattere nella temperie della storia e volle porre la guerra fuori dalla storia stessa, riflettere sul valore dei diritti dell’uomo, primo fra tutti quello di poter vivere in pace, è il forte messaggio che ci ha consegnato la Resistenza.
E’ con questo messaggio che siamo qui a festeggiare il 25 aprile, festa nazionale e a dirci ancora una volta: viva la Liberazione, viva la Repubblica, viva l’Italia, viva la pace.
Una fiaccolata per non dimenticare mai. Lunedì 24 Aprile, alle ore 20.30 da piazza della Libertà, è partita la fiaccolata della Liberazione in memoria delle vittime della rappresaglia nazista avvenuta a Settimo l’8 agosto del 1944 e del genocidio perpetuato dal nazifascismo nella Seconda Guerra Mondiale. Il corteo, attraverso le vie cittadine, è stato accompagnato dal Corpo Musicale Città di Settimo Torinese e ha raggiunto via Ceresole, dove si trova il monumento in ricordo dell’eccidio nazista.
Dopo la deposizione di una corona di alloro da parte dell’amministrazione comunale, Silvio Bertotto, presidente dell’Anpi Settimo, ha ricordato che: “Siamo qui, oggi, perché l’identità di una città risiede nella memoria che la città stessa rispetta, difende, ravviva e accresce. Nelle vicinanze di questo monumento eretto nel 2004 in sostituzione di un cippo che risaliva a dieci anni prima e sostituiva, a sua volta, una lapide commemorativa apposta nell’estate del 1945, all’indomani della Liberazione, sei giovani partigiani, ostaggio dei tedeschi, furono brutalmente uccisi. Era la mattina dell’8 agosto 1944. Da allora, questo luogo ci richiama al dramma della Seconda Guerra Mondiale e, soprattutto, della lotta di resistenza. Ci richiama al tributo di sangue che le nostre terre hanno versato nei venti mesi dell’occupazione straniera. Credo che sia importante, in questo momento e in questo luogo che fu un luogo di morte, sentire più intensamente che mai il significato e il valore di ciò che ci unisce. Perché, quando diciamo e ripetiamo che occorre costruire una nuova amicizia fra tutti i popoli, soprattutto di questi tempi in cui la guerra è tornata a insanguinare l’Europa e ignoriamo quale futuro ci attende, non è per lasciare spazio ai sogni, per inseguire le chimere e i miraggi, ma perché desideriamo con risolutezza e determinazione che quanto accadde a Settimo Torinese, in quel lontano agosto di 79 anni or sono, non sia più possibile, non si ripeta. Di fronte alla crisi globale di questi nostri tempi, evitiamo di fuggire dalle nostre responsabilità, riscopriamo e rigeneriamo le ragioni del nostro vivere insieme nel dialogo fecondo, nella democrazia e nella partecipazione. Respingiamo le polemiche improduttive e distruttive, ma festeggiamo il nostro 25 aprile”.
Marco G. Dibenedetto
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