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Musica in strada? Solo se piace al Comune. Il caso dell’arpista cacciata da Cuorgnè… di nuovo (VIDEO)

Cacciata un anno fa perché “disturbava con l’arpa celtica”, l’arpista è tornata. Risultato? Allontanata ancora

Siamo a Cuorgnè, comune di poco più di novemila anime in Canavese. Un luogo in apparenza tranquillo, dove il suono di un’arpa celtica potrebbe rappresentare un’oasi di poesia in una quotidianità spesso dominata da clacson, cantieri, chiacchiere ad alto volume e musica sparata dai locali. Invece no. Qui, un’arpa celtica disturba. Non oggi, non una volta: sempre. È la seconda volta che Martina Merlo, giovane musicista e artista di strada, viene allontanata mentre suona in piazza. E il motivo è sempre lo stesso: “disturba”.

L’assurdità della situazione ha spinto la madre di Martina a raccontare tutto in un video social: acceso, accorato, pieno di indignazione e amarezza. «Mia figlia da un anno non veniva più a Cuorgnè – spiega – perché l’anno scorso le avevano detto che disturbava con l’arpa. Oggi ha voluto riprovare. Risultato? L’hanno fatta spostare di nuovo. Non c’era neanche un’ombra, si è piazzata al sole cocente e ha scelto di non suonare, in segno di protesta».

Non si tratta di un caso isolato. Non si tratta nemmeno solo di Cuorgnè. È la fotografia di un’Italia schizofrenica, che celebra la cultura nei festival istituzionali, ma la reprime quando non è programmata, controllata, approvata dal Comune. Un Paese che finanzia mostre e talk show culturali, ma non riesce a tollerare una ragazza con un’arpa seduta in una piazza.

Il paradosso è stridente: mentre il centro si riempie di rumori veri, di traffico e musica commerciale, una melodia acustica viene considerata un fastidio da zittire. Eppure non ci sono amplificatori. Non c’è folla. Solo una musicista che – seduta su uno sgabello – regala bellezza. A chi passa, a chi ascolta, a chi ancora vuole sentire.

La madre di Martina lo dice chiaramente, con tono acceso ma lucidissimo: «Viviamo in un Paese dove c’è mafia, ’ndrangheta, corruzione ovunque. Ma è una ragazza con un’arpa a essere trattata come una criminale. Le forze dell’ordine vengono chiamate per allontanarla. La prossima volta, magari, manderanno l’esercito».

È una repressione piccola ma simbolica, e per questo ancora più pericolosa. Non riguarda solo il destino di una musicista di strada, ma il concetto stesso di spazio pubblico. A chi appartiene? È ancora di tutti? È ancora lecito viverlo senza chiedere permesso per ogni gesto creativo?

Il dettaglio che fa sorridere – amaramente – è che a Martina non viene contestato il volume (l’arpa è uno degli strumenti più dolci che esistano), ma la semplice presenza. “Disturba”, punto. Una giustificazione vuota, arbitraria, fondata sul nulla, ma sufficiente per cacciare chi non ha “l’approvazione giusta”.

E allora ecco il paradosso: non disturba chi grida al telefono, chi fa rumore con i motorini, chi alza lo stereo a tutto volume. Ma disturba una ragazza con l’arpa. Perché non è prevista. Perché è libera. Perché è diversa.

La risposta di Martina è stata elegante, ma ferma: silenzio. Nessuna nota. Solo presenza. Una protesta muta ma potente, che ha raccolto la solidarietà di tanti cittadini, anche loro stanchi di un clima in cui l’arte viene regolamentata come un parcheggio a pagamento.

La madre chiude il video con un appello che suona come una sveglia: «Amici di Cuorgnè, protestate anche voi. Perché questa cosa non è giusta». E ha ragione. Oggi è un’arpa. Domani sarà una voce, una parola, un’idea.

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