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La grande siccità del 1.733-34. L'11 maggio a Ivrea è arrivata la pioggia

IN FOTO 1976, un immagine della siccità

IN FOTO 1976, un immagine della siccità

Il Piemonte – stando a un recente studio dell’Organizzazione meteorologica mondiale, un organismo intergovernativo delle Nazioni unite – si colloca, in Europa, fra le regioni che registrano il maggior deficit idrico. In termini più espliciti, all’inizio di questa primavera, la siccità fa davvero paura. «Gli agricoltori – rassicura il presidente Alberto Cirio non saranno lasciati soli. In montagna verranno costruiti nuovi bacini per il contenimento dell’acqua». Speriamo bene! Nel frattempo, i mass media – specie quelli digitali – si cimentano in arditi raffronti storici, rispolverando alcuni nefasti episodi climatici di tempi più o meno remoti. Fra questi, la grande arsura degli anni 1733 e 1734.

Quella lontana siccità appare fermamente impressa nella memoria di non poche comunità piemontesi. Il che non è avvenuto per altri eventi climatici a cui gli storici attribuiscono disa-stri e lutti di comparabile entità. Nell’immaginario col-lettivo, per esemplificare, assai minori tracce si rinven-gono della gravissima siccità che desolò il Piemonte al-l’indomani della restaurazione monarchica (1816-17) e alla quale accennano tutti i biografi di don Giovanni Bosco perché la fa-miglia del futuro santo, in Castelnuovo d’Asti, visse momenti di somma angoscia.

Non vi è dubbio che la prolungata mancanza di precipitazioni atmosferiche nel 1733-34 fu ritenuta eccezionale e spa-ventosa da tutti i contemporanei, tanto più che si manife-stò mentre era in corso la guerra per il trono polacco, dopo la morte del re Augusto II, principe elettore di Sas-sonia, nel febbraio 1733. Alleatosi con la Francia di Luigi XV e la Spagna di Filippo V, il piccolo regno di Sardegna era militarmente impegnato in Lombardia e in Emilia. A differenza di tanti altri conflitti, interessando margi-nalmente le terre piemontesi, la guerra non originava quel-le situazioni di generale sconquasso che erano solite rovi-nare le campagne. Ciò che non produssero gli eventi bellici, tuttavia, fu provocato dalla congiuntura climatica.

NEL RIQUADRO Il flagello delle cavallette si associava sovente alla siccità (miniatura del XV secolo)

Pioggia, vento e siccità

A quanto pare, il mese di settembre del 1733 fu estremamente ventoso. Lo precedette un lungo periodo di piogge. L’a-gostiniano Giuseppe Borla di Chivasso (1728-1797) accenna a «una grandissima carestia di grani a cagione che il vento seccò prima della maturità tutte le sementi [e] a cui nel-l’autunno seguì una fortissima innondazione». Nel Chivassese, la piena del Po fu all’origine di non pochi danni: «asportò […] le sode ripe del fiume verso il territorio di Cimena», rendendo inutilizzabile il mulino natante del mar-chese Giovanni Antonio Turinetti di Priero. Chiaro e preciso è il frate minore osservante Arcangelo da San Giorgio, padre guardiano presso il convento del Sacro Bosco di Ozegna, il quale chiarisce che la primavera del 1733 fu annunciata da «una bellissima apparenza di campagna, indicante copiosissima abbondanza di granaglie e di vino». Ma la situazione climatica mutò rapidamente. Venti freddi ac-compagnati da piogge assai intense spazzarono la regione, «ancorché sembrasse ridente tutta la campagna». Al momento della mietitura si constatò amaramente che «le spiche dei frumenti e segale, che pure erano longhe e apagavano la vista», risultavano «vote e mancanti». Poi la pioggia cominciò a farsi attendere.

Inevitabile effetto dell’emergenza climatica fu l’immediato e vertiginoso aumento dei prezzi di tutti i generi di prima necessità. Giacomo Panà, il parroco di San Mauro Torinese, riferisce che i prezzi ragguardevoli delle granaglie non erano affatto una novità. Sennonché, quell’anno, apparivano «di tanto aggravio» perché i salariati non trovavano lavoro, temendosi «l’azione della guerra sorta […] per l’alleanza di Francia e Spagna col nostro sovrano». La carestia era alle porte: non stupisce che subito deflagrasse con risvolti drammatici, come attesta una pluralità di fonti.

«Tutto il mondo gridava fame»

L’autunno del 1733 – spiega padre Arcangelo da San Giorgio – fu «sereno», «secco» e «freddo». Gli succedette un inverno «lungo» e ancora più rigido, senza precipitazioni atmosferiche: «si camminava sempre per polvere», come «nel grosso dell’estate». «Tutto il mondo gridava fame», sintetizza il frate, ricorrendo a un’incisiva espressione. «Tutti correvano, senza rossore, a limosinare del pane», aggiunge. Giovanni Tomaso Periolatto (1699-1757), nativo di Lemie e parroco di Fiano. Molti si ridussero a cibarsi di erba cruda dei pra-ti e di pane impastato con gusci di noci ed erbaggi.

Alla siccità e alla carestia, come si era temuto, tenne dietro un’ondata di febbri miliari o petecchiali. Con sbalorditiva rapidità, la falcidia raggiunse straordinari livelli. Valga per tutti il caso di Settimo Torinese dove si registrarono, nel 1732 e nel 1733, rispettivamente 40 e 48 defunti. Nel 1734 il numero delle sepolture balzò a 131, decisamente troppi per una popolazione di appena 1.547 abitanti. A Torino, la capitale del regno, torme di disperati giungevano dalle campagne per chiedere la carità, infoltendo le fila degli accattoni che vagabondavano senza una meta. La città era palesemente allo stremo, con quattromila mendicanti che si aggiravano affamati per le strade e centinaia di ma-lati che affollavano gli androni, le scale e i cortili degli ospedali.

La pioggia continuava a non scendere. Padre Arcangelo pensò bene di richiamarsi alla «sapienza» del popolino: «Quando Marcus Pascha dabit, tota Italia, veh!, clamabit» ossia l’intera Italia piangerà quando la Pasqua capita il 25 aprile, festa dell’evangelista Marco,. L’evento è rarissimo: posteriormente alla riforma gregoriana del calendario (1582), accadde soltanto nel 1666, oltreché nel 1734. In seguito si ripresenterà nel 1886 e nel 1943.

Finalmente la pioggia

Poi la situazione meteorologica mutò nuovamente. L’eporediese Giovanni Benvenuti afferma che una «abbondante pioggia» venne giù a Ivrea, l’11 maggio 1734, liberando la città dalla «terribile carestia» che affliggeva «le più fertili provincie d’Italia». Il vescovo Joseph-Auguste Duc asserisce che «une pluie abondante» cadde, nella valle d’Aosta, il 12 maggio. Anche padre Arcangelo da San Giorgio rimarca che la pioggia cadde il 12 maggio: «incominciò a piovere una pioggia quieta, senza contrasto di tuoni e venti, come suole avvenire in questa stagione». Altrove la pioggia si fece attendere sino ad agosto.

Purtroppo la situazione tarderà a normalizzarsi. Giuseppe Borla accenna alla «grande carestia» che si fece sentire nel 1735 dopo aver «travagliato […] il Piemonte ne’ precedenti due anni». Analoghe considerazioni espresse il parroco di San Mauro Torinese. Vincenzo De Conti, autore di un’ottocentesca storia di Casale Monferrato, sostiene che la siccità del 1733-34 fu, «al dir dei vecchi, la ragione per cui s’introdusse il seminerio della meliga alla collina, mentre non si usava che oltre Po», cioè nella pianura alla sinistra orografica del fiume.

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