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Va a contéjla al Lucio dla Venerìa.

Va a contéjla al Lucio dla Venerìa.

In realtà chi era Lucio dla Venerìa, un modo di dire che ancora oggi in una tipica frase idiomatica piemontese. In piemontese ad una persona contafrottole e fanfarona che esagera veniva detto: “Va a contéjla al Lucio dla Venerìa, una esortazione: un invito, in fondo garbato, a ridimensionare le iperboli del racconto, oppure un’esplicita esortazione ad andare dire ad altri le sue esagerazioni a persone più credulone di colui che ascolta. O forse questo modo di dire, garbato e cortese vuole fare capire all’interlocutore di non essere degli sprovveduti. Da dove nasce questa espressione?

Dovete sapere che Lucio dla Venerìa è una maschera di carnevale che fa la sua apparizione nel teatro dei burattini a metà dell’Ottocento. In queste commedie Lucio non ricopriva mai un ruolo di primo piano, era una spalla di maschere più famose, pare che la sua fortuna nasca dalle battute che scatenavano tra il pubblico scrosci di acclamazioni e di incontenibile allegria. Lucio era un personaggio personaggio ingenuo, fortemente credulone, e talvolta anche un po’ corto di cervello, a volte anche il ruolo del finto tonto.

Non si sa da dove nasce questa maschera che nell’Ottocento in Piemonte ha avuto grazie al romanziere Luigi Pietracqua che ha scritto in piemontese il romanzo intitolato “Lucio dla Venerìa”, dove si parla  di un orfanello, di nome Sandrino, che nell’adolescenza scopre di essere il figlio di un brigante, di uno di quei briganti buoni e generosi, però, che rubano ai ricchi per distribuire ai poveri il bottino. Sandrino, venuto a conoscenza delle tragiche circostanze in cui era morta sua madre, decide di farsi giustizia da sé, vendicandosi di coloro che lo avevano reso orfano.

Acquista un podere a Venaria, poi cambia nome, facendosi chiamare Lucio, poi con il suo comportamento generoso e altruista, conquista un poco alla volta la simpatia di tutti gli abitanti del contado. Intanto il nostro Lucio non cessa di indagare sulle trame del passato e alla fine scopre che gli assassini della madre sono padre Romualdo e il conte Rodolfo. Lucio allora li invita nella sua abitazione. Poi appicca il fuoco e fugge: i due, senza possibilità di fuga, bruciano vivi. Ma da quel giorno, di Lucio si persero per sempre le tracce.

Ma ne rimase il mito e la leggenda come un’altra che narra dove sotto questo pseudonimo si celava in realtà il conte Braschetti, che così poteva praticare agevolmente il suo passatempo preferito: fare della beneficenza. Infatti, presentandosi ai popolani come mandatario del Lucio d'la Venaria, poteva esercitare tutto il bene che desiderava ed evitare, poi, le dimostrazioni di riconoscenza, espressioni che per la sua spontanea generosità erano un autentico peso. Il conte partiva di buon mattino con il fucile in spalla, come per andare a caccia e percorreva molta strada per trovare gente bisognosa di aiuto.

A sera, il benefattore rientrava nella sua palazzina a Venaria, detta “la Pomera”, perché circondata da numerose piante di melo. Per i Venariesi dell'epoca, il "Lucio d'la Venaria" assume le sembianze di un essere invisibile, mandato dal Cielo per consolare la povera gente e operare ogni sorta di miracolo in loro favore; è il protettore ed il benefattore dei poveri.”

Lo storico Giuseppe Baruffi, scrittore contemporaneo Luigi Pietracqua, nel suo libro: “Passeggiate nei dintorni di Torino”, il quale afferma che Il nome “Lucio d'la Venaria” sarebbe derivato unicamente da un gioco di parole. 

Molto famosi erano, infatti, i lucci giganteschi messi in un laghetto del parco del Castello dove si narrava che avessero addirittura divorato un bambino scivolatovi dentro. Dato che in piemontese “Luss” significa sia luccio che Lucio, ne derivò l'equivoco di “Lucio per luccio”.

Comunque sia  la sua origine, il nome Lucio della Venaria, non è stato mai dimenticato dai piemontesi, anche grazie al successo del piacevole romanzo. L’autore del romanzo Luigi  Pietracqua nato a Voghera nel 1832 e morto a  Torino nel  1901 è stato  uno dei maggiori e più popolari autori di teatro piemontese, oggi purtroppo dimenticato, prolifico autore in lingua piemontese.

Tra le sue commedie in piemontese ricordiamo: La carità sitadina, Le sponde del Po, Sablin a bala, Rispeta toa fomna, Un pover pàroco. Tra i suoi romanzi oltre  Lucio dla Venerìa, ha scritto  anche  Don Pipeta l’asilé, romanzo storico in lingua piemontese. Prima opera scritta da Luigi Pietracqua, vi si rivivono i tempi eroici della resistenza massonica all'Inquisizione. La grafia piemontese è quella originaria, leggermente riveduta in modo da renderla di facilissima lettura, dipodnibile presso la Biblioteca di Favria G. Pistonatto.

Altre sue opere di successo furono Lorens el suicida, Ij mister ëd Vanchija, La famija dël soldà. Pietracqua all’inizio della sua carriera di giornalista era stato assunto come compositore tipografo presso la Gazzetta del Popolo di Torino dove poi ne diventa redattore. Come giornalista, scrisse anche per La Sesia, la Gazzetta Piemontese e Il Fischietto.  In questi romanzi e scritti si può apprezzare la fluidità della lingua piemontese, le sue colorite espressioni idiomatiche e la sua peculiare espressività, ricca di sfumature e di termini affascinanti.

Attualmente "Lucio" è la maschera ufficiale di Venaria, indossa un costume che ricorda quello del più famoso Gianduja

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