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Lo stiletto di Clio
03 Febbraio 2024 - 10:06
IN FOTO Fanciulla dell’Ottocento (ritratto della pittrrice Valeria Pasta Morelli, 1858-1909)
Quale migliore occasione, avvicinandosi la festa di San Valentino, per proporre alcuni stralci di una lettera d’amore che risale presumibilmente al 1861, l’anno in cui l’Italia fu unificata. Si tratta di un curioso documento di costume che proviene dall’archivio privato di una famiglia di Settimo Torinese. L’autore si chiamava Luigi: nato nel 1831, era un giovane della buona borghesia locale, un professionista che lavorava nel capoluogo subalpino, alle dipendenze del municipio. La destinataria, una bella ragazza del medesimo paese, portava un nome manzoniano, Lucia, ed era di condizione sociale più modesta.
«L’amor che il mio cuor nutre per te – scrive il giovane – è tale che non può più star a longo da te diviso, le ore mi pajono giorni ed i giorni mi pajono settimane intiere, ma verrà quel sospirato dì in cui avrò la fortuna di possederti e di dividere con te il restante della mia vita che sarà piena di felicità e di consolazione».
Quindi, in un crescendo melodrammatico: «Se io conto dai giorni che posso ricordarmi, non ho mai vissuto un’ora in piena felicità, salvo quelle poche ore che posso passare al tuo fianco, e passano come il vento. In quei momenti passano dalla mia mente tutti i miei disgusti che ritorno a prenderli quando suona l’ora della fatale mia partenza; allora di nuovo pensieroso me ne ritorno alla mia desolata abitazione col pensiero di non più poterti rivedere sino allo spirare della entrante settimana».
IN FOTO Torino, 21 luglio 1861, l’inaugurazione del monumento a Carlo Alberto
Il giovane Luigi prosegue dichiarandosi addolorato di non poter essere a Settimo, come di consueto, nel pomeriggio della domenica successiva, a causa di un temporaneo impedimento fisico che gli impedisce di camminare.
Non si dimentichi che, all’epoca, il tragitto da Settimo a Torino si faceva abitualmente a piedi; la tranvia sarebbe entrata in esercizio solo qualche decennio più tardi.
«Dovrò con grande mio rammarico – si lagna l’innamorato – stare due settimane intiere senza godere della tua cara compagnia, mi fa molta pena al pensare come dovrò passare la giornata di domenica senza essere al tuo fianco».
Ed ecco la proposta: «Dunque ti pregherei se volessi venire tu mi faresti cosa molto grata; così se non potrei aver la consolazione di star molte ore a te vicino, godrò almeno la fortuna di rivederti».
Ovviamente la ragazza non dovrà recarsi da sola a Torino, ma accompagnata da una sorella, severa custode delle muliebri virtù.
Come trascorrere una domenica pomeriggio nella capitale del neoproclamato regno d’Italia?
«Venendo tu – suggerisce il giovane – andressimo [non si tratta di un errore; all’epoca era una forma del condizionale presente] vedere il nuovo cavallo di bronzo che hanno messo sulla piazza Carlo Alberto, quindi le Regine nella chiesa della Consolata, e se vi sarà altro pubblico edifizio aperto lo andremo pure vedere. Insomma spero che ci divertiremo molto, dunque guarda di venire che io ti attendo dalle ore undici che uscirò dall’ufficio sino a mezzogiorno in facia [che bel piemontesismo!] al palazzo di città oppure dalle sette alle otto in piazza d’Italia» (Porta Palazzo). Dal che si deduce che, negli uffici pubblici torinesi, allora si lavorava anche la domenica mattina.
Il «nuovo cavallo di bronzo» è il monumento al re Carlo Alberto di Savoia Carignano, realizzato da Carlo Marochetti e inaugurato il 21 luglio 1861. Le «Regine» sono le statue marmoree di Maria Teresa e Maria Adelaide, consorti rispettivamente di Carlo Alberto e di Vittorio Emanuele II: opera dello scultore Vincenzo Vela, furono collocate, proprio nel 1861, all’interno del santuario della Consolata, dove si trovano tuttora.
Non sappiamo se Lucia rimase insensibile alle profferte del suo lamentoso spasimante. Sappiamo, tuttavia, che l’8 febbraio 1862, sei giorni prima della festa di San Valentino, nella chiesa parrocchiale di Settimo, davanti al prevosto Stefano Sales, il giovane poté finalmente impalmare la bella dei suoi sogni. La qual cosa, moltissimo tempo dopo, avrà conseguenze allora inimmaginabili. Infatti, se l’innamorato Luigi fosse stato respinto dalla bella Lucia, «Lo Stiletto di Clio» non avrebbe mai visto la luce. Rimane da chiarire se con rammarico o esultanza dei suoi venticinque lettori di manzoniana memoria.
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