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Lo stiletto di Clio

La filatrice, metafora del lavoro domestico

Nella cultura contadina, il fuso e la rocca sono assurti a simbolo del lavoro domestico e dei sentimenti che legavano la donna di famiglia alla casa.

NEL RIQUADRO Una filatrice al lavoro, olio su tela del pitt ore francese Léon-Augustin Lhermitte (1883)

NEL RIQUADRO Una filatrice al lavoro, olio su tela del pitt ore francese Léon-Augustin Lhermitte (1883)

In questo periodo dell’anno, in epoche ormai remote, i contadini erano soliti trascorrere le serate in compagnia, nel tepore delle stalle. La veglia o «vijà» era il momento dell’incontro e della socialità: si scherzava, si discorreva, si fantasticava, si combinavano matrimoni e si narravano storie di streghe e di briganti. Gli uomini erano per lo più impegnati in qualche lavoretto manuale (racconciare gli attrezzi agricoli per la stagione ventura, intrecciare canestri di vimini, ecc.), mentre le donne cucivano, facevano la maglia, ricamavano e filavano la lana e la canapa.

Le pecore si tosavano generalmente sul finire di dicembre o all’inizio di gennaio, in un giorno di luna piena affinché la lana fosse più resistente e il vello dell’animale potesse ricrescere in fretta. Dalle fonti dei secoli diciassettesimo e diciottesimo risulta che il numero degli ovini stabilmente allevati nei territori di pianura, fra Torinese, Canavese e Vercellese, fu sempre minimo. Nelle cascine di loro proprietà, tuttavia, i feudatari locali e gli ordini religiosi erano soliti ospitare greggi transumanti. La lana, dunque, non mancava.

NEL RIQUADRO La filatrice ritratta dal disegnatore francese Jean-Jacques  Lequeu (1757-1826) che lavoro  per alcuni anni in Italia

NEL RIQUADRO La filatrice ritratta dal disegnatore francese Jean-Jacques  Lequeu (1757-1826) che lavoro  per alcuni anni in Italia

Per filare le donne utilizzavano la rocca o conocchia e il fuso oppure l’arcolaio («roèt» in piemontese). Semplicissima come concezione, la rocca non era altro che una canna lunga poco meno di un metro, con un’estremità ingrossata (generalmente l’ultimo internodio) e divisa in gretole alle quali si avvolgeva il pennecchio o roccata. La filatrice teneva la rocca sotto il braccio sinistro, puntandola contro l’anca, oppure la infilava nella cintura del grembiule, appoggiandola sul braccio destro. Congiuntamente alla rocca, le donne adoperavano il fuso, un arnese di legno tornito, corpacciuto nella parte centrale e sottile ai due capi. Alla cocca superiore o bottoncino si accappiava il filo del pennecchio.

L’arcolaio era costituito da una struttura di supporto che reggeva una ruota del diametro di circa quaranta centimetri. Presso le vecchie famiglie settimesi è tuttora possibile reperire arcolai di varia foggia, alcuni decisamente rudimentali, altri costruiti con grande maestria utilizzando legni robusti (per lo più noce e rovere). Seduta su uno sgabello, la filatrice faceva girare la ruota in senso orario per mezzo di un pedale, tenendo la rocca infilata alla cintola. Il filo passava nel perno cavo del reggispola, avvolgendosi sul rocchetto o fusela.

Se si desiderava un filato di maggiore consistenza occorreva procedere alla operazione di ritorcitura o artorziura (dal verbo artorze cioè ritorcere). Fissati i capi di due o tre fili al rocchetto, si faceva girare la ruota dell’arcolaio in senso antiorario: mentre la mano sinistra reggeva i fili, la destra li univa muovendosi ritmicamente dall’alto in basso e viceversa. Anche col fuso era possibile artorze.

Per formare le matasse si ricorreva all’aspo o bindolo, uno strumento di legno formato da un bastoncello con due coppie di traverse in croce, unite da quattro legnetti su cui veniva avvolto il filato. Al termine non restava che lavare la lana in acqua con scaglie di sapone.

Nella cultura contadina, il fuso e la rocca sono assurti a simbolo del lavoro domestico e dei sentimenti che legavano la donna di famiglia alla casa. Ma alludono anche al tempo che scorre inesorabilmente. Nella mitologia greca e romana, le Parche – figlie di Zeus e di Temi, personificazione del diritto e della giustizia – presiedono al destino dell’uomo e si pronunciano con decisioni immutabili, recidendo il filo della vita al momento stabilito.

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