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20 Aprile 2023 - 17:25
Tribunale
Il nostro ordinamento giuridico prevede, tra i diritti inviolabili del cittadino, il diritto alla difesa nel processo che lo vede coinvolto, da intendersi sia nella sua accezione di garanzia della difesa tecnica sia in quella, autonoma ed ulteriore, di autodifesa. Allo scopo, dunque, di dare concreta attuazione a tale ultimo profilo, il nostro codice di procedura penale sancisce, all’art. 70, la necessità dell’espletamento di accertamenti sull’imputato nel momento in cui vi siano motivi per ritenere che lo stesso non sia in grado di partecipare in modo cosciente al processo che si sta svolgendo nei suoi confronti. Laddove conseguentemente dovesse effettivamente emergere l’ipotizzata incapacità, il giudice dovrà disporre la sospensione del processo e, nel caso in cui le condizioni dell’imputato siano da intendersi come clinicamente irreversibili, pronuncerà sentenza di proscioglimento. Sul significato dell’espressione “partecipazione cosciente” utilizzata dal codice , la Corte Costituzionale ha avuto modo di esprimersi nel 2004 precisando come la stessa ricomprenda non solo la capacità dell’imputato di capire ciò che si verifica nel processo che lo interessa, ma altresì la possibilità di parteciparvi in modo attivo, anche attraverso la percezione e l’espressione, affinché possa dirsi garantito il diritto all’autodifesa. Su tale presupposto, il Tribunale di Lecce ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma inserita nell’art. 72 bis c.pp. nella parte in cui limita la possibilità per il giudice di pronunciare sentenza di proscioglimento dell’imputato alle situazioni di irreversibilità derivanti da malattia mentale di quest’ultimo e non anche da patologia fisica, come nel caso di specie in cui l’interessato risultava affetto da SLA.
La Corte Costituzionale, con decisione n. 65 del 23 febbraio scorso ha accolto le argomentazioni del Tribunale dichiarando illegittimo l’articolo in argomento laddove si riferisce allo “stato mentale” e non a quello “psicofisico”.
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