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Salute
11 Novembre 2025 - 10:09
Psicofarmaci in aumento tra i minori: un bambino su 175 è in terapia
Cresce in Italia l’uso di psicofarmaci tra bambini e adolescenti, e con esso l’allarme per una generazione che sembra portare addosso il peso di un disagio crescente. In meno di dieci anni il numero di minori che assumono farmaci per la salute mentale è più che raddoppiato: nel 2016 era lo 0,26%, nel 2024 ha raggiunto lo 0,57%. Significa che oggi un bambino ogni 175 è in terapia con psicofarmaci. I dati arrivano dal Rapporto OsMed 2024 dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), che ogni anno fotografa l’andamento dei consumi farmaceutici nel Paese. E anche se l’Italia resta al di sotto della media europea, la crescita è costante e preoccupante.
L’incremento è ancora più netto nella fascia d’età tra i 12 e i 17 anni, dove uno su cento assume antidepressivi, antipsicotici o farmaci per il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). La percentuale, pari all’1,17%, colloca l’Italia al di sotto di Francia e Germania, ma segna comunque un cambiamento culturale e clinico profondo. Si ricorre con sempre maggiore frequenza a terapie farmacologiche per affrontare disturbi dell’umore, ansia, iperattività, insonnia o difficoltà di adattamento. Il dato, spiegano gli esperti, riflette una maggiore sensibilità della medicina verso il disagio psicologico dei più giovani, ma anche una crescente fragilità di bambini e ragazzi esposti a pressioni sociali, isolamento e stress prolungato, soprattutto dopo gli anni della pandemia.
Rispetto ad altri Paesi, l’Italia mantiene un tasso di consumo più contenuto: nel 2024, lo 0,57% dei minori era in terapia, contro l’1,61% in Francia e addirittura oltre il 24% negli Stati Uniti, dove la medicalizzazione del disagio giovanile ha raggiunto livelli strutturali. Tuttavia, la tendenza italiana va letta nel contesto di un cambiamento globale. L’Aifa registra un aumento del consumo complessivo di confezioni, passate da 20,6 a 59,3 ogni 1.000 minori in meno di dieci anni. Non si tratta di un fenomeno marginale, ma di una trasformazione silenziosa, che avviene nelle case e nelle scuole, negli studi dei pediatri e nei centri di neuropsichiatria infantile.
Accanto ai farmaci psichiatrici, il rapporto rivela che più della metà dei minori italiani — circa 4,6 milioni di bambini e adolescenti — ha ricevuto almeno una prescrizione nel corso del 2024. Gli antibiotici restano i medicinali più diffusi, seguiti da quelli per le vie respiratorie e dai preparati ormonali sistemici. I maschi risultano leggermente più esposti (51,9% contro il 49,9% delle femmine). Ma è sul fronte della salute mentale che la curva dei numeri cambia inclinazione: in dieci anni, un raddoppio pieno.
L’aumento delle prescrizioni riflette in parte una maggiore attenzione diagnostica, ma anche l’assenza di risposte alternative adeguate. Le famiglie si rivolgono sempre più spesso al farmaco per gestire ansia, insonnia o crisi emotive dei figli, complici tempi di attesa lunghissimi per i percorsi di psicoterapia pubblica, costi elevati nel privato e una carenza di servizi dedicati ai minori. Molti psichiatri sottolineano come l’uso del farmaco non sia di per sé negativo, purché sia accompagnato da un supporto psicologico strutturato. Ma quando la terapia farmacologica diventa l’unica risposta, il rischio è che il disagio venga “silenziato” senza essere compreso.
Sul piano economico, il Rapporto OsMed evidenzia un altro elemento significativo: la spesa farmaceutica complessiva in Italia ha raggiunto nel 2024 i 37,2 miliardi di euro, con un incremento del 2,8% rispetto all’anno precedente. Di questi, 26,8 miliardi sono stati coperti dal Servizio Sanitario Nazionale, mentre la parte restante — oltre 10 miliardi — è finita direttamente a carico dei cittadini. L’aumento, spiega Aifa, è legato soprattutto ai farmaci innovativi e ad alto costo, in particolare alle terapie avanzate e ai farmaci orfani per le malattie rare. È un quadro che racconta la duplice faccia della modernità medica: da un lato, la straordinaria capacità di intervenire su patologie un tempo incurabili; dall’altro, la crescente difficoltà di sostenere economicamente una spesa sanitaria in continuo aumento.

In questo scenario, il calo dell’uso degli antibiotici (-1,3% rispetto al 2023) sembra una buona notizia solo a metà. Ogni giorno 17 italiani su 1.000 assumono un antibiotico, con forti differenze territoriali: il Sud si conferma l’area con i consumi più alti (43,6% della popolazione), mentre al Nord la quota scende al 30,6%. Il farmaco più utilizzato rimane la combinazione amoxicillina-acido clavulanico, che da sola rappresenta il 38% delle prescrizioni. La persistenza di livelli così alti di consumo conferma un’abitudine radicata, difficile da scalfire nonostante le campagne di sensibilizzazione contro l’abuso.
Gli anziani restano i principali utilizzatori di medicinali: oltre il 97% ha ricevuto almeno una prescrizione nel corso dell’anno, con una media di 3,4 dosi giornaliere. Il 68% degli over 65 assume almeno cinque principi attivi diversi, e uno su tre arriva a dieci. Un dato che fa emergere il problema della polifarmacoterapia, cioè l’assunzione contemporanea di più farmaci, spesso senza un adeguato coordinamento medico. L’Aifa avverte che un eccesso di medicinali può aumentare gli errori terapeutici e la mancata aderenza alle cure, riducendo l’efficacia dei trattamenti.
Ma è soprattutto sui più giovani che si concentra l’attenzione del rapporto. L’incremento dell’uso di psicofarmaci nei minori viene considerato un campanello d’allarme per la salute mentale delle nuove generazioni. Gli esperti ricordano che i disturbi d’ansia e dell’umore nei ragazzi sono aumentati in modo esponenziale dopo la pandemia: isolamento, didattica a distanza, perdita di socialità e precarietà familiare hanno amplificato fragilità già presenti. A questo si aggiunge l’impatto dei social network, con un’esposizione costante a modelli irraggiungibili, conflitti di identità e un senso di inadeguatezza che molti adolescenti faticano a gestire.
Il presidente dell’Aifa, Robert Nisticò, ha lanciato un appello alla prudenza e alla responsabilità: «È fondamentale promuovere un uso più consapevole dei farmaci, migliorare l’aderenza alle terapie e garantire un impiego appropriato delle risorse». Dietro queste parole c’è l’invito a non banalizzare il ricorso ai farmaci psicotropi, specialmente in età evolutiva. Nisticò sottolinea che l’aumento delle prescrizioni non deve essere interpretato come un segno di progresso, ma come un segnale d’allarme per il sistema di supporto psicologico e familiare, ancora troppo fragile.
Le famiglie, spesso sole davanti al disagio dei figli, si affidano alla medicina per risposte rapide, ma gli psicologi denunciano una carenza strutturale di centri territoriali e di personale dedicato all’età evolutiva. Secondo l’Ordine degli Psicologi, in alcune regioni italiane il tempo medio per ottenere un primo colloquio nei servizi pubblici supera i sei mesi. In questo vuoto di assistenza, il farmaco diventa l’unico strumento immediatamente disponibile.
La sfida, oggi, è restituire al trattamento del disagio mentale un equilibrio tra cura e comprensione, tra chimica e ascolto. Non si tratta di demonizzare i farmaci, ma di collocarli dentro un progetto terapeutico più ampio, che includa il sostegno scolastico, familiare e sociale. L’Italia, pur partendo da livelli di consumo inferiori rispetto a molti Paesi europei, mostra un trend di crescita che interroga medici, istituzioni e genitori. La salute mentale dei bambini non può essere misurata in dosi giornaliere o confezioni vendute: è un indicatore dello stato di salute di un’intera società.
Nella fotografia scattata dal rapporto Aifa, il Paese appare diviso tra eccellenze e contraddizioni. Da un lato, un sistema sanitario che garantisce l’accesso ai farmaci essenziali a oltre due terzi della popolazione; dall’altro, un disagio giovanile che emerge in modo sempre più evidente. In mezzo, il ruolo della scuola, delle famiglie e della sanità territoriale, chiamate a ricucire un tessuto sociale che mostra crepe profonde.
L’aumento dei psicofarmaci tra bambini e adolescenti non è soltanto un dato statistico: è il segno di un malessere che attraversa il tempo e le relazioni, un sintomo di fragilità collettiva. Se un ragazzo su cento oggi assume un farmaco per l’umore o per l’attenzione, significa che dietro quei numeri ci sono vite che chiedono ascolto, comunità che devono tornare a essere rete, e istituzioni chiamate a non voltarsi dall’altra parte.
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