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Esteri
06 Novembre 2025 - 21:10
Prete dei migranti accusato di abusi sessuali: il missionario dei poveri che avrebbe violentato chi cercava salvezza
La sera del 30 ottobre, in una strada secondaria di Casablanca, un ragazzo guineano di diciassette anni — cappuccio tirato su, sguardo basso — si rifiuta di parlare. È il più giovane tra i sei migranti che, secondo un’inchiesta giornalistica locale, sarebbero stati vittime di abusi sessuali mentre cercavano rifugio in un servizio ecclesiale della città. Al centro delle accuse non c’è un uomo qualunque, ma Padre Antoine Exelmans, sacerdote francese noto per l’impegno a favore di migranti e richiedenti asilo, premiato nel 2020 per il suo lavoro umanitario. Oggi, quel nome è legato a un presunto “sistema di sfruttamento sessuale” durato “almeno quattro anni”. Il contrasto è feroce e costringe a guardare in faccia il dolore, le falle dei meccanismi di tutela e il linguaggio con cui la Chiesa racconta — o attenua — ciò che accade ai più vulnerabili.
Secondo quanto ricostruito da Le Monde, Exelmans, che tra il 2021 e il 2024 ha diretto il servizio di accoglienza per migranti presso la parrocchia di Notre-Dame-de-Lourdes a Casablanca, è oggi sospettato di “violenze sessuali” su giovani esuli. L’aspetto più delicato è che, secondo il diocèse de Rennes, di cui dipende, il sacerdote avrebbe “riconosciuto abusi sessuali” durante un’indagine canonica avviata dall’arcidiocesi di Rabat, le cui conclusioni sono già state inviate a Roma. Nel frattempo, le autorità marocchine hanno raccolto elementi dell’inchiesta giornalistica e ascoltato alcune delle presunte vittime.
Le versioni divergono sul numero dei ragazzi coinvolti. Il quotidiano marocchino Enass parla di sei giovani — cinque guineani e un camerunese — tutti minorenni all’epoca dei fatti. Il diocèse de Rennes, invece, ne riconosce uno solo, più quattro adulti che si sarebbero rivolti all’arcidiocesi di Rabat. Due narrazioni ancora lontane, che impongono prudenza ma non attenuano la gravità del quadro.

L’inchiesta di Enass, pubblicata il 3 novembre 2025, è un documento dettagliato, costruito su testimonianze dirette e ricostruzioni ambientali. Parla di un “sistema” che avrebbe preso di mira minori fragili, isolati, spesso ospitati nel presbiterio per un “accompagnamento personalizzato” poi degenerato in coercizioni e abusi. Secondo la testata, almeno tre di loro sarebbero già stati ascoltati dalla Brigata nazionale della polizia giudiziaria su delega della procura di Casablanca, e sono stati disposti accertamenti medici.
Un capitolo oscuro riguarda i presunti “trattamenti psichiatrici” imposti o suggeriti dal sacerdote. Enass riferisce che Exelmans avrebbe richiesto sistematicamente prescrizioni di psicofarmaci, prima in ospedale, poi da una psichiatra del terzo settore. Se confermato, questo aspetto aprirebbe interrogativi inquietanti: fino a che punto la farmacologia può essere stata usata per indebolire la volontà o la lucidità delle vittime? Domande da tribunale, che richiederanno perizie e contraddittorio, ma che bastano a mettere a nudo la questione centrale: la protezione dei minori in contesti dove il potere spirituale e materiale è concentrato nelle mani di un solo uomo.
In un comunicato, l’arcidiocesi di Rabat ha dichiarato di aver “collaborato pienamente con le autorità civili” non appena ricevute le prime segnalazioni, e di aver trasmesso a Roma i risultati dell’indagine interna. Il documento elenca anche misure cautelari: divieto per il sacerdote di avere contatti con minori se non in presenza di un altro adulto e obbligo di accompagnamento psicologico. L’arcivescovo Cristóbal López Romero ha aggiunto che “la sola vittima minorenne conosciuta” dalla diocesi è oggi seguita dalla Chiesa.
Dalla Francia, la diocesi di Rennes conferma che Exelmans avrebbe ammesso “abusi sessuali” in sede canonica, e invita eventuali testimoni a farsi avanti. La cronologia è chiara: segnalazioni in Marocco, rientro in Francia nel giugno 2024, avvio dell’inchiesta canonica, trasmissione degli atti a Roma. Ovunque, la parola d’ordine è “cooperazione”, ma resta il dubbio su quanto sia stata tempestiva.
Chi è, in fondo, Padre Antoine Exelmans? Sacerdote del diocèse de Rennes, in missione in Marocco come Fidei donum dal 2016, ex vicario generale a Rabat, punto di riferimento per le organizzazioni umanitarie e i migranti del Maghreb. Nel 2020 riceve il Prix d’Aix-la-Chapelle pour la paix, destinato a chi combatte “le ingiustizie” nel mondo. È lo stesso periodo in cui promuove una riorganizzazione dei servizi ecclesiali per migranti, smantellando strutture professionali e privilegiando la gestione “volontaria” e “spirituale” dell’accoglienza. Una riforma che oggi si interroga: la semplificazione amministrativa ha eliminato anche le garanzie di controllo?
Se le accuse fossero confermate, questo caso mostrerebbe come un rapporto asimmetrico — adulto contro minore, europeo contro migrante, pastore contro gregge — possa trasformarsi in abuso. I racconti parlano di isolamento, di sostegno psicologico trasformato in dipendenza, di spazi ecclesiali privi di supervisione. È proprio in questi vuoti che dovrebbero esistere regole chiare: niente incontri prolungati in solitudine con minori, monitoraggio esterno, protocolli sull’uso di psicofarmaci, formazione obbligatoria per sacerdoti e volontari. Non sono burocrazie, ma barriere che salvano vite.
I comunicati ufficiali hanno scelto formule come “abusi su persone fragili”, un eufemismo che offusca la realtà. La cautela è legittima, la presunzione d’innocenza sacrosanta. Ma quando emergono minori, le parole contano. Dire “abusi” non basta: serve trasparenza, tempi certi, decisioni pubbliche. L’ammissione di colpe in sede canonica, confermata da Rennes, impone un dovere: chiarire dove si trovi oggi Exelmans, quali restrizioni subisca, chi vigili sulla loro applicazione.
Le indagini corrono su due binari: quella canonica, avviata a Rabat e trasmessa a Roma, e quella giudiziaria marocchina, con accertamenti clinici e audizioni. In parallelo, le autorità francesi hanno ascoltato il sacerdote. Un’inchiesta transnazionale che dovrà coordinare prove, referti, registri parrocchiali, scambi di email e chat. Senza un raccordo forte, la tutela dei minori rischia di perdersi nei confini.
Il caso Exelmans non nasce dal nulla. È figlio di un sistema che, nonostante le riforme post–Commissione Sauvé, continua a produrre zone d’ombra. E il contesto marocchino — fatto di migranti senza documenti, minori soli, vulnerabilità estrema — amplifica ogni rischio. Quando l’aiuto diventa dipendenza, quando la fiducia diventa arma, l’abuso è dietro l’angolo. Da qui le richieste, rilanciate da media e associazioni, di un audit indipendente sui servizi ecclesiali per migranti in Marocco.
La credibilità di un’istituzione non si misura dai comunicati, ma dalle scelte. E qui la domanda è semplice: quei sei ragazzi sono stati protetti o abbandonati? La giustizia farà il suo corso, ma la prevenzione non può attendere i verdetti. Va costruita ora, con regole verificabili, pubbliche, condivise. Solo così Notre-Dame-de-Lourdes potrà tornare a essere un rifugio, e non un simbolo di promessa tradita.
Resta un’immagine che non si dimentica: un ragazzo di diciassette anni che rifiuta l’aiuto psicologico perché “blasé”, come se la speranza si fosse consumata prima di nascere. È da lì che tutto dovrebbe ripartire: dalla fiducia che nessun minore debba mai più scegliere tra il silenzio e la sopravvivenza.
LA VOCE DEL CANAVESE
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