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11 Novembre 2025 - 07:25
L’emozione di vedere due italiani protagonisti alle ATP Finals non è soltanto una questione di orgoglio sportivo, ma il segno tangibile di un movimento che ha finalmente trovato maturità, identità e continuità. A dirlo, con la passione di chi il tennis lo ha vissuto da protagonista e lo racconta oggi con autorevolezza, è Raffaella Reggi, ex numero 13 del mondo e oggi stimata voce tecnica di Sky Sport. Una donna che ha lasciato il segno nella storia del tennis italiano, vincendo uno Slam in doppio misto agli US Open del 1986 insieme a Sergio Casal, e conquistando successi da pioniera in singolare negli anni ’80, quando il tennis femminile italiano muoveva ancora i suoi primi passi nel professionismo internazionale.
Ospite di un talk condotto da Adriano Panatta a Casa Tennis, Reggi ha espresso entusiasmo sincero per l’edizione 2025 delle Finals, un evento che promette emozioni e rivalità ad altissimo livello:
“L’emozione di vedere due italiani alle ATP Finals non ha prezzo. È un traguardo che qualche anno fa sembrava impensabile. E chissà che Lorenzo Musetti non possa diventare il terzo incomodo tra Alcaraz e Sinner, in una sfida che mette in palio anche il numero uno del mondo.”
Torino, dunque, non è soltanto una vetrina luccicante del grande tennis, ma il crocevia in cui si decide buona parte del futuro immediato di questo sport. Tra i campioni già affermati e le giovani promesse, l’edizione 2025 ha il sapore di un’epoca nuova: quella in cui il tennis italiano non è più semplice spettatore, ma protagonista.
Reggi, con la lucidità che da sempre contraddistingue la sua analisi, non ha risparmiato però una nota di delusione. Il bersaglio, in questo caso, è Alexander Zverev, talento indiscusso ma ancora alla ricerca di quella solidità mentale che distingue i grandi dai fuoriclasse:
“Da Zverev mi aspettavo qualcosa di più. Ha tutto per essere tra i primi tre, ma la sua è anche una questione psicologica. Non basta il talento: serve equilibrio mentale, e lui deve ancora trovarlo.”
Parole che pesano, perché pronunciate da chi conosce il circuito dall’interno e ne ha sperimentato la durezza sulla propria pelle. Una riflessione che racconta non solo la parte tecnica del tennis, ma anche quella più umana: la solitudine, la pressione, la necessità di ritrovare se stessi dentro un’arena in cui il pubblico vede solo la vittoria o la sconfitta, mai il percorso che ci sta dietro.
Ma lo sguardo di Reggi va oltre le linee del campo. Torino, secondo lei, ha già vinto la partita più importante: quella dell’organizzazione, della capacità di accogliere e valorizzare un evento che negli anni è cresciuto fino a diventare un modello internazionale.
“Torino è andata in crescendo, anno dopo anno. L’organizzazione, il pubblico, l’atmosfera: tutto è migliorato. Merita assolutamente la riconferma fino al 2030.”
Un messaggio chiaro, che arriva proprio nel momento in cui l’ATP e la Federazione Internazionale discutono sul futuro della sede a partire dal 2027. In un panorama dove le grandi città europee si contendono il titolo di capitale del tennis mondiale, Torino – per Reggi – ha dimostrato di avere tutto: infrastrutture, passione e un pubblico che ha imparato a vivere lo sport come un’esperienza collettiva, non solo come spettacolo.
E poi c’è il tennis femminile, terreno a cui Reggi è da sempre legata da un filo invisibile di affetto e battaglie culturali. Anche qui la sua visione è lucida, quasi pedagogica:
“Il tennis femminile sta cambiando, ma serve un progetto più solido. Ci sono giovani interessanti, ma devono essere accompagnate con continuità, senza pressioni e con una programmazione moderna. Le nuove generazioni vanno valorizzate, non bruciate.”
Parole che valgono come manifesto, un invito alla responsabilità per dirigenti e tecnici. Perché dietro ogni talento c’è un percorso che va protetto, costruito, sostenuto nel tempo. E Raffaella Reggi, che da atleta ha vissuto gli anni in cui le risorse erano limitate e il sostegno quasi inesistente, oggi si fa portavoce di un cambiamento culturale che vede nella programmazione e nella fiducia i suoi pilastri fondamentali.
Le sue riflessioni restituiscono il ritratto di una donna che non ha mai smesso di amare il tennis: da giocatrice, da commentatrice, ma soprattutto da osservatrice appassionata di un movimento che, finalmente, parla italiano con accento internazionale.
In un’epoca in cui Jannik Sinner e Lorenzo Musetti incarnano due volti diversi ma complementari di un’Italia tennistica in pieno fermento, le parole di Raffaella Reggi suonano come un invito alla misura, alla lungimiranza e alla gratitudine. Perché dietro il clamore dei riflettori e i ranking mondiali c’è il lavoro silenzioso di chi ha aperto la strada, spesso senza ricevere il giusto riconoscimento.
Il tennis italiano vive una delle sue stagioni più luminose, e Torino, almeno per ora, ne è il cuore pulsante. Ma, come ricorda Reggi con un sorriso, “i sogni vanno coltivati, non solo applauditi”.
Ed è forse proprio questa la lezione più preziosa: che dietro ogni successo, individuale o collettivo, c’è sempre la pazienza di chi crede che il futuro – sportivo e non solo – si costruisca un colpo alla volta.
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