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Cronaca

’Ndrangheta a Torino, cinque imputati condannati

Tra i condannati anche D’Onofrio e l’ex sindacalista Ceravolo

’Ndrangheta a Torino

’Ndrangheta a Torino, cinque imputati condannati

La sentenza è arrivata nel pomeriggio, al termine di un’udienza che ha segnato uno snodo importante per uno dei filoni dell’inchiesta Factotum, l’indagine che negli ultimi anni ha ricostruito la presenza strutturata della ’ndrangheta nel Nord Ovest. Il tribunale di Torino ha condannato cinque imputati. La pena più alta, undici anni e dieci mesi, è stata inflitta a Francesco D’Onofrio, ritenuto dagli inquirenti una figura di primo piano nel sistema di rapporti tra le cosche attive nel Torinese.

D’Onofrio, che negli anni Ottanta aveva militato nel gruppo di estrema sinistra Colp, ha negato in aula qualsiasi rapporto con la criminalità organizzata. La sua posizione resta però centrale nel processo, anche per gli sviluppi paralleli emersi nel corso delle indagini. Nella sua abitazione, infatti, è stata ritrovata una pistola che ha portato la Procura di Milano a riaprire un fascicolo sull’omicidio del procuratore Bruno Caccia, assassinato nel 1983 in un attentato attribuito alla ’ndrangheta. Il delitto, tra i più gravi nella storia giudiziaria torinese, ha già portato a due condanne definitive, e per questa vicenda D’Onofrio ha sempre sostenuto la propria estraneità.

Oltre a lui, la Corte ha condannato anche Domenico Ceravolo, all’epoca dei fatti sindacalista della Cisl, a otto anni, dieci mesi e venti giorni. La sua figura è risultata, secondo l’accusa, parte di un sistema di supporto alle attività del gruppo criminale, con un ruolo da approfondire nel contesto delle relazioni tra ambienti sindacali, intermediari e organizzazioni mafiose. Anche Ceravolo ha sempre respinto le accuse, ma la sentenza di oggi conferma in pieno l’impianto costruito dagli inquirenti.

Il processo, che si ricollega direttamente al lavoro istruttorio portato avanti dalla Dda torinese negli ultimi dieci anni, ha visto la costituzione di parte civile da parte dei Comuni di Torino e Carmagnola, della Regione Piemonte e della stessa Cisl. La loro presenza è stata considerata un segnale istituzionale forte, volto a sottolineare l’impatto che le infiltrazioni mafiose continuano ad avere sul territorio e sulle amministrazioni pubbliche dell’area metropolitana.

Le motivazioni della sentenza chiariranno ora quali elementi siano stati ritenuti decisivi per attribuire a D’Onofrio un ruolo di vertice, e a Ceravolo una partecipazione riconosciuta come penalmente rilevante. Resta aperta invece la parte milanese dell’indagine, il cui sviluppo dipenderà dagli accertamenti balistici e dalle analisi sull’arma sequestrata. Per l’omicidio Caccia, D’Onofrio ha già ribadito più volte la propria totale estraneità, così come riferito anche al momento del ritrovamento della pistola.

L’inchiesta Factotum, avviata per tracciare i legami tra famiglie storiche della ’ndrangheta e circuiti economico-istituzionali del Piemonte, ha già prodotto diverse sentenze di rilievo negli anni scorsi. La decisione pronunciata oggi dal tribunale non chiude il quadro complessivo, ma definisce un altro segmento in una vicenda giudiziaria ampia e ancora in movimento, soprattutto per le nuove verifiche milanesi.

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