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Cronaca
20 Novembre 2025 - 09:31
Condannato a cinque anni il minorenne che uccise Hamza Moutik: la ricostruzione di una notte confusa tra droga, paura e un fendente mortale
Aveva solo sedici anni quando, nell’agosto del 2024, colpì con una coltellata al cuore il ventiseienne Hamza Moutik, conosciuto negli ambienti di corso Giulio Cesare come piccolo spacciatore. Un colpo unico, devastante, dopo il quale la vittima lottò due giorni in ospedale prima di morire. Oggi, più di un anno dopo quella notte di violenza, il Tribunale per i Minorenni ha condannato il giovane a cinque anni di detenzione, riconoscendo una pena ridotta grazie alla scelta del rito abbreviato e alla decisione della difesa di non impugnare la sentenza.
La vicenda, sin dal principio, si era caricata di elementi difficili da districare. Il ragazzo, di origine marocchina, era stato rintracciato all’aeroporto di Malpensa dopo un tentativo di fuga. Fermato, aveva confessato a distanza di pochi giorni, sostenendo una versione che, per mesi, ha diviso magistrati, investigatori e anche i residenti della zona. Secondo il suo racconto, non si sarebbe trattato di un agguato premeditato, ma della reazione disperata a un presunto tentativo di aggressione sessuale.
Tutto, nella ricostruzione del giovane, comincia la sera in cui lui e Moutik escono insieme con alcuni amici. Una serata senza particolari tensioni, almeno in apparenza. La vittima lo avrebbe poi convinto a raggiungere un appartamento, con la promessa di consumare un po’ di cocaina. Proprio lì, in quelle stanze che gli inquirenti hanno esaminato più volte, il minorenne dice di aver subito un approccio violento, un tentativo di costringimento che lo avrebbe terrorizzato. Non ci sarebbero, però, testimoni diretti a confermare pienamente questa versione: un nodo che ha accompagnato tutta l’indagine.

Luogo dell'accoltellamento
Il giorno successivo i due si sarebbero incontrati di nuovo, quasi per caso, proprio in corso Giulio Cesare, una delle zone più difficili della città, spesso teatro di risse, spaccio e aggressioni. Racconta il ragazzo che Moutik non sarebbe stato solo, e che qualcosa sarebbe degenerato rapidamente: parole gridate, spintoni, un parapiglia in mezzo alla strada. È in quel momento, dice, che avrebbe temuto un nuovo tentativo di violenza, e che avrebbe tirato fuori il coltello. Un gesto che doveva essere, nelle sue intenzioni, soltanto un modo per spaventare l’altro. Ma il fendente ha colpito in pieno petto, tracciando il solco definitivo di questa storia.
Per la Procura minorile, la responsabilità dell’omicidio resta chiara, indipendentemente dalla paura, dal contesto o dalla confusione dell’episodio. Per questo la condanna è arrivata netta, pur all’interno di un percorso giudiziario ritagliato sull’età dell’imputato. Cinque anni che il ragazzo sta già scontando al Ferrante Aporti di Torino, dove si è iscritto a un istituto professionale. Fonti interne confermano che sta studiando con ottimi risultati, quasi a cercare, tra quelle mura, un frammento di futuro che altrove non aveva più trovato.
L’omicidio di Hamza Moutik ha riportato l’attenzione su un quartiere, quello di Aurora e della lunga dorsale di corso Giulio Cesare, in cui la tensione resta palpabile. Tra residenti e commercianti, il clima è lo stesso denunciato in decine di episodi simili: paura, esasperazione, una quotidianità segnata dalla violenza. Ma questa storia, più di altre, mette in scena la complessità dei margini urbani, in cui vittime e carnefici sembrano talvolta intercambiabili, tutti inghiottiti da dinamiche che esplodono in pochi secondi.
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