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Cronaca

Cuneo, condannato il “padre padrone” che vietava ai vicini di salutare moglie e figlia

L’uomo aveva imposto il divieto di rivolgere loro la parola: “Sono mie”. Riconosciuta la seminfermità mentale, disposta la libertà vigilata in attesa di una Rems

Cuneo, condannato il “padre padrone” che vietava ai vicini di salutare moglie e figlia

Cuneo, condannato il “padre padrone” che vietava ai vicini di salutare moglie e figlia (foto di repertorio)

Era arrivato a vietare ai vicini, bambini compresi, di salutare la moglie e la figlia. Un controllo totale, ossessivo, trasformato in una regola imposta all’intero quartiere. «Perché loro sono mie», aveva detto in una delle occasioni in cui era stato richiamato sul suo comportamento. Oggi quell’uomo, residente a Boves e originario di Brindisi, è stato condannato a due anni e sei mesi dal tribunale di Cuneo per maltrattamenti e lesioni.

La sentenza arriva dopo un processo segnato da assenze e silenzi. La moglie, cittadina tedesca, non è più tornata in Italia: aveva denunciato l’ex coniuge nell’agosto 2021, poco prima di lasciare il Paese insieme ai genitori, e non ha partecipato al dibattimento. In aula sono stati invece ascoltati i vicini, che hanno ricostruito un clima pesante, fatto di ordini, rumori violenti e litigi continui.

Una testimone ha spiegato: «Spesso incrociavo lo sguardo di lei e avevo addirittura paura a salutarla, alla bambina facevo un cenno con la mano». Un’altra ha raccontato come “tutto il quartiere fosse agghiacciato” dalla situazione. Dalla casa arrivavano spesso rumori forti, musica ad alto volume per tutta la notte, e si percepivano chiaramente toni di conflitto. La donna, che parlava poco italiano, veniva insultata e trattata «come inferiore», secondo le testimonianze.

La querela ha descritto anche episodi di violenza fisica, uno dei quali refertato in ospedale. E le minacce si estendevano anche ai nonni materni: rivolgendosi alla bambina, il padre avrebbe detto «i nonni sono morti, dormono in cielo». Un frase che, secondo l’accusa, serviva a intimidirla e a tenerla lontana dai familiari della madre.

I giudici hanno riconosciuto all’uomo la seminfermità mentale, confermando l’applicazione della libertà vigilata fino a quando non sarà disponibile un posto in una struttura psichiatrica Rems. Una misura che tiene conto delle perizie e dell’evidente instabilità che emerge dal quadro degli ultimi anni.

La vicenda, che ha segnato profondamente una famiglia e scosso un intero quartiere, si chiude oggi con una condanna che dà un primo punto fermo alle denunce presentate tre anni fa. Restano però gli interrogativi su ciò che la donna e la bambina hanno vissuto dentro quelle mura e sulle conseguenze che questa storia continuerà a portare con sé.

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