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Cronaca

Assolta la preside del Salvemini: “il fatto non sussiste”. il caso che ha diviso scuola e famiglia a Torino

La Procura contestava alla dirigente Barbara Floris il mancato supporto a un ragazzo con gravi patologie. Il Pm aveva chiesto la condanna a 3 anni di carcere e la famiglia 35mila euro di risarcimento

assolta la preside del Salvemini: “il fatto non sussiste”. il caso che ha diviso scuola e famiglia a Torino

Una sentenza arrivata “questa mattina” ha rimesso al centro ciò che la giustizia deve fare: distinguere tra colpa e difficoltà strutturali. La dirigente dell’istituto comprensivo Gaetano Salvemini di Torino, la professoressa Barbara Floris, è stata assolta con formula piena dall’accusa di maltrattamenti a un alunno con grave disabilità. Un verdetto che chiude il fronte penale, ma non spegne le domande su come garantire davvero inclusione e dignità nelle nostre scuole.

Assolta perché il fatto non sussiste”: così il tribunale ha chiuso il processo a carico di Barbara Floris. La pm Antonella Barbera aveva chiesto tre anni di reclusione. “Ora è contenta e sollevata – ha commentato il difensore, l’avvocato Frediano Sanneris –. Confida che l’assoluzione diventi definitiva e che restituisca serenità a un corpo docenti scosso da queste accuse”.

I fatti contestati risalgono all’anno scolastico 2021/2022, quando il ragazzo – oggi diciassettenne – frequentava la seconda media al Salvemini. L’indagine, nata da un esposto presentato alla polizia locale nel maggio 2022 da un’assistente sociale dopo le segnalazioni della madre agli enti competenti (tra cui il Provveditorato), non riguardava violenze fisiche, ma presunte omissioni: - mancata formazione specifica del personale sull’uso del deambulatore, con conseguente limitazione dei movimenti e permanenza prolungata in posizione seduta; - carenze nella vigilanza sull’igiene a scuola, con un episodio in cui l’alunno fu rinvenuto con gli abiti intrisi di urina. Da qui il rinvio a giudizio della dirigente.

La madre del ragazzo si è costituita parte civile, assistita dall’avvocata Gabriella Boero, chiedendo 35mila euro di risarcimento. “Hanno negato il diritto all’inclusione a mio figlio. Era costretto a stare seduto perché i docenti non gli permettevano di usare il deambulatore e in un’occasione è tornato a casa sporco: nessuno gli aveva cambiato il pannolone”. Un quadro che, secondo la famiglia, si sarebbe attenuato “solo in terza media, grazie a un nuovo insegnante di sostegno”.

In aula, alla scorsa udienza, Floris ha ribadito di avere agito entro i margini consentiti: “Non potevo fare nulla. Quando l’alunno si è iscritto non eravamo a conoscenza della particolare gravità della sua condizione e non avevamo tutti gli ausili necessari, che sono stati richiesti col tempo ma consegnati con molta lentezza”. La preside ha ricordato le istanze inoltrate “al Comune di Torino per un insegnante di educativa specialistica” e “all’Asl per un operatore socio-assistenziale”, aggiungendo che “l’azienda sanitaria di via San Secondo non ci ha mai risposto”. Quanto alla formazione sull’uso del deambulatore: “Avevo invitato tutto il consiglio di classe a partecipare, ma non posso certo obbligare un docente a spostare un ragazzo. Capisco la frustrazione della madre ma non potevamo fare diversamente”.



Nei giorni scorsi il personale del Salvemini ha firmato una lettera pubblica a difesa dell’istituto: “Scriviamo in difesa dell’operato e della professionalità di tutti coloro che lavorano con dedizione nell’istituto salito agli onori della cronaca in conseguenza di affermazioni che non rispecchiano la realtà dei fatti”. Una presa di posizione che rivendica una tradizione di inclusione: “Il Salvemini, da sempre, ha assunto come impegno prioritario il benessere dei suoi studenti, soprattutto quelli con disabilità, considerati da sempre una risorsa e un valore aggiunto”, sottolineando lo sforzo di docenti e personale “oltre l’orario e le competenze formali”.

Per l’avvocato Sanneris “ci sono stati malintesi tra dirigenza e famiglia”, ma soprattutto c’è un contesto che pesa: “Il Salvemini ha sette plessi e mille studenti, di cui circa sessanta con disabilità. Insegnanti e dirigente si tirano su le maniche per garantire la loro inclusione, e dispiace essere portati a processo per accuse così gravi e infamanti”. Parole che risuonano con un dato strutturale: la scuola pubblica affronta una crisi di risorse e di coordinamento, in cui ritardi nella fornitura di ausili, risposte lente delle strutture sanitarie e carenza di figure specialistiche scaricano sulle aule il peso di bisogni complessi.

La formula piena dell’assoluzione, “perché il fatto non sussiste”, chiude l’accusa penale alla dirigente. Restano però il dolore e la percezione di una madre che ha visto il figlio limitato e non sempre accolto come avrebbe voluto; restano le difficoltà di un corpo docente chiamato ogni giorno a colmare vuoti organizzativi e sanitari. Questo caso ha messo a nudo un nodo cruciale: l’inclusione non si improvvisa e non può poggiare solo sulla buona volontà. Servono protocolli chiari sulla formazione operativa, rapidità nell’assegnazione di operatori e ausili, canali efficaci tra scuola, Comune e Asl. Quando questi ingranaggi s’inceppano, a pagarne il prezzo sono i più fragili e chi li accompagna in classe.

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