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Cronaca

Violenze nella notte di Halloween, chiariti i ruoli dei tre ragazzi. Si indaga per sequestro di persona e violenza privata

La Procura dei minori di Torino conferma le accuse di sequestro e violenza privata. Il racconto del ragazzo è coerente con la denuncia materna

Violenze nella notte di Halloween, chiariti i ruoli dei tre ragazzi. Si indaga per sequestro di persona e violenza privata

Violenze nella notte di Halloween, chiariti i ruoli dei tre ragazzi. Si indaga per sequestro di persona e violenza privata (immagine di repertorio)

Si delinea con maggior precisione la vicenda dei soprusi subiti da un quindicenne torinese nella notte di Halloween, una storia di violenza che ha sconvolto Torino e riaperto un dibattito profondo sul degrado relazionale tra adolescenti. Le indagini della Procura dei Minorenni, guidata da Emma Avezzù, proseguono nel più stretto riserbo, ma dagli ambienti giudiziari trapelano dettagli importanti: i tre indagati — due ragazzi e una ragazza — non avrebbero partecipato tutti nello stesso modo ai fatti.

Nel corso dell’audizione protetta della vittima, avvenuta nel tardo pomeriggio di ieri con l’assistenza di uno psicologo, il ragazzo ha ricostruito l’accaduto con coerenza e lucidità. Un racconto che, secondo gli inquirenti, coincide con quanto già dichiarato dalla madre nella denuncia e nel post social che aveva dato avvio all’inchiesta. La sedicenne coinvolta sarebbe arrivata in un secondo momento, senza assistere all’intera sequenza degli abusi, mentre gli altri due adolescenti avrebbero avuto un ruolo più diretto nella violenza.

Le ipotesi di reato restano per ora immutate: sequestro di persona e violenza privata. Le pubbliche ministere Vitina Pinto e Virginia Pecoriello, titolari del fascicolo, hanno già disposto una perquisizione nell’abitazione dove, secondo le accuse, si sarebbero verificati i fatti, alla ricerca di elementi utili a confermare la versione del ragazzo. I tre minori potrebbero essere sentiti a breve per la prima volta.

La notte di Halloween è diventata così un incubo per il quindicenne, che sarebbe stato attirato con un pretesto in una casa privata, chiuso in una stanza, torturato, rasato, bruciato con una sigaretta e costretto a immergersi nelle acque del fiume Dora. Il caso, esploso inizialmente come un episodio di bullismo, ha assunto contorni ben più drammatici e complessi, tanto da essere qualificato come un atto di violenza premeditata.

Il ragazzo, affetto da disagio cognitivo, continua a ricevere assistenza psicologica. La madre, che ha denunciato i fatti e seguito le prime fasi dell’inchiesta, ha deciso ora di parlare pubblicamente per la prima volta, affidando ai giornalisti una lettera di dolore e di dignità. Le sue parole arrivano mentre la città si interroga e la magistratura lavora per dare un nome e una responsabilità a ogni ruolo.

«Desidero premettere che questa situazione è estremamente difficile, sia per mio figlio che per la nostra famiglia. Siamo consapevoli che ci vorrà tempo per un ritorno alla normalità, poiché le cicatrici che porta sono profonde e resteranno per la vita. Ma mio figlio è il nostro leone: ha subito l’impensabile, ma con tutto il nostro amore e la nostra pazienza lo aiuteremo ad affrontare questo percorso», scrive la donna.

La madre rifiuta ogni tentativo di minimizzare: «Ciò che hanno fatto a mio figlio non può essere definito una bravata. Sapevano bene che è un ragazzo sensibile e lo hanno colpito per questo. Ma per noi resta un gran figo, oggi più che mai». Una forza di linguaggio che riflette insieme la rabbia e la volontà di riscatto.

Nella stessa lettera la donna invita alla calma chi, nei giorni successivi ai fatti, si è radunato sotto casa del ragazzo dopo un tam tam sui social: «Voglio rivolgermi a tutti i ragazzi che ci stanno mostrando vicinanza: vi chiedo di non farvi giustizia da soli. L’odio e la violenza non portano a nulla. Mio figlio è vivo, e ringraziamo Dio per questo».

Parole che si chiudono con un appello alla riflessione: «Diciamo no al bullismo e no alla violenza, in ogni sua forma». E con una precisazione che abbraccia un valore universale: «Chiunque abbia disturbi cognitivi o una disabilità non deve mai sentirsi diverso. Siamo tutti uguali e dobbiamo impegnarci per la loro integrazione».

Intanto la Procura continua a vagliare il materiale sequestrato: telefoni, dispositivi elettronici, messaggi e immagini. Non si esclude che gli aggressori abbiano ripreso con i cellulari parte delle torture, ipotesi che, se confermata, aggraverebbe la posizione dei tre indagati e restituirebbe un quadro ancor più inquietante: quello di una violenza trasformata in spettacolo.

Su questo punto si è soffermata la criminologa Rita Tulelli, che in un’analisi dedicata al caso parla di “perdita collettiva di empatia”. «Ridurre simili fatti a bullismo significherebbe svilirne la portata criminologica. Qui la violenza non è più solo un gesto, ma un linguaggio. Il branco diventa sistema, dissolve la colpa individuale e la trasforma in dominio. La sofferenza non suscita più disagio, ma serve a esistere». Un commento che mette in luce come la deriva relazionale dei giovanissimi stia assumendo tratti sempre più disumani, dove il dolore è mezzo di potere e il gruppo diventa rifugio dell’irresponsabilità.

Secondo la criminologa, la risposta non può essere solo repressiva ma educativa: servono percorsi di educazione emotiva nelle scuole, dialogo nelle famiglie e una rete di prevenzione che unisca istituzioni, psicologi e forze dell’ordine. «Non basta punire chi colpisce: bisogna anche ricostruire chi è stato colpito», conclude Tulelli.

Il ragazzo, oggi, sta cercando di tornare lentamente a una forma di normalità. La sua storia, però, è diventata simbolo di un male collettivo: la violenza che cresce tra i giovanissimi, spesso in silenzio, dentro cerchie chiuse e invisibili. Un male che esplode in serate come quella di Halloween, quando l’innocenza di un rituale si rovescia in crudeltà.

Il lavoro degli inquirenti continua, con l’obiettivo di chiarire definitivamente le responsabilità individuali. Ma al di là del processo, resta l’eco di una tragedia che ha infranto un’intera comunità. E resta la voce di una madre che, dal buio, chiede solo una cosa: che la giustizia restituisca senso e dignità a chi l’ha perduta.

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