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Cronaca

Torturato, rasato e gettato nel fiume: la notte di Halloween da incubo di un quindicenne

Ore di violenze e umiliazioni a Torino. La madre: «Gli hanno spento una sigaretta sulla caviglia, lo hanno fatto entrare nel Po. Ringrazio Dio che mio figlio è vivo, ma voglio giustizia»

Torturato dai coetanei nella notte di Halloween

Torturato dai coetanei nella notte di Halloween (foto di repertorio)

È una storia che fa rabbrividire. Una di quelle che si spera di non dover mai raccontare, e invece è accaduta davvero. Un ragazzo di appena quindici anni, residente in provincia di Torino, è stato sequestrato, torturato e umiliato per un’intera notte da due coetanei che si sarebbero spacciati per amici. Tutto è successo la notte di Halloween, tra il 31 ottobre e il primo novembre, quando l’adolescente era convinto di trascorrere una serata tranquilla.

Secondo la denuncia presentata ai carabinieri, i due giovani lo hanno attirato con l’inganno in un alloggio di Torino, un appartamento dove non c’erano adulti. Una trappola. Qui, dopo avergli tolto il telefono e bloccato i numeri dei genitori che continuavano a chiamarlo, lo avrebbero rinchiuso in bagno, la porta serrata con una catena. Poi, sotto la minaccia di un cacciavite, lo avrebbero rasato a forza, tagliandogli i capelli e le sopracciglia con una lametta.

La madre, in un lungo post pubblicato sui social – poi cancellato – ha raccontato con parole strazianti ogni dettaglio: «Gli hanno fatto di tutto, facendogli dei tagli pure sulla palpebra dell’occhio, gli hanno spento una sigaretta sulla caviglia oltretutto!» scrive. Una violenza cieca, insensata, che non si è fermata lì. «Non contenti, sempre sotto la minaccia del cacciavite, lo hanno portato nel Po, gli hanno fatto togliere la maglia a petto nudo e l’hanno fatto entrare dentro il Po. E non soddisfatti, lo hanno fatto mettere sotto una fontanella con il getto sulla schiena, tra sputi e offese varie!»

Le sevizie non sarebbero finite neppure dopo. I due, racconta la donna, lo avrebbero trattenuto in casa fino alle prime ore del pomeriggio. «Dopo di che lo hanno riportato in casa fino alle 13 e poi, finito di torturarlo, lo hanno riportato alla stazione di Porta Nuova e gli hanno rilasciato il telefono. Lì mi sono rincuorata perché sono riuscita a sentirlo, ma quando l’ho visto è stato uno shock, giuro!»

È in quel momento che il ragazzo ha potuto finalmente chiamare la madre. Lei, che pensava fosse a dormire dal nonno, non immaginava che il figlio fosse invece prigioniero di un incubo. «Io sapevo che era a dormire dal nonno, che non è mai arrivato, e noi l’abbiamo scoperto il mattino dopo, quando il mio cuore si è fermato!» scrive ancora.

Quando la donna lo ha rivisto, racconta, è stato uno shock vero e proprio: il volto gonfio, i segni evidenti delle percosse, la paura negli occhi. «Ringrazio Dio che mio figlio è vivo, ma ora voglio solo giustizia!» ha scritto, in lettere maiuscole, come a gridare tutto il dolore di una madre ferita e impotente.

La sua rabbia è un fiume in piena. Le domande si susseguono una dietro l’altra, senza trovare risposta: «Ma i genitori dove sono? Perché un ragazzo di una comunità, la madre gli lascia le chiavi di un alloggio dove non ci sono maggiorenni? Perché tutta questa cattiveria a questa età verso un ragazzo debole? Perché tutto questo?»

il post

Poi, lo sfogo più profondo, quello che racchiude tutta la disperazione di chi ha visto l’innocenza del proprio figlio calpestata: «Questo è uno sfogo di una mamma che nel cuore ha tanta rabbia e tanto dolore. Ed è un messaggio per i ragazzi fragili come mio figlio, che non si devono fidare di chi dice di essergli amico e poi li bullizza! Abbiate la forza di parlare con i genitori, la forza di reagire, perché non siete voi gli sbagliati».

Le parole della donna non sono solo un racconto di orrore, ma un grido che tocca tutti. Perché dietro la violenza c’è l’inganno: due adolescenti che si fingono amici, un ragazzo fragile che crede di potersi fidare. Poi la trappola, la tortura, le ore interminabili di paura.

Il ragazzo, davanti ai carabinieri, ha ripetuto la sua versione dei fatti tre volte, sempre con la stessa lucidità. Ha raccontato di essere stato vessato, minacciato, deriso. Di essere stato costretto a spogliarsi, di entrare nel fiume, di subire sputi, insulti e botte. Dopo l’alba, gli avrebbero offerto la colazione in un bar e poi abbandonato alla stazione. È lì che la madre ha potuto riabbracciarlo.

Ma l’incubo, racconta la donna, non si è chiuso con quella notte. Pochi giorni dopo, ha scoperto un nuovo orrore. «Ho paura per mio figlio – ha raccontato – perché gira in rete un video di un abuso. So che altri ragazzi se lo stavano passando tra loro. Ora spero che la polizia postale lo trovi e lo cancelli».

Una paura che cresce di ora in ora, perché quel video, se davvero esiste, rappresenta una nuova violenza, questa volta pubblica, collettiva. «Ho paura per mio figlio, ho paura che si uccida» ha confidato la madre, distrutta, ma determinata a ottenere giustizia.

Gli inquirenti stanno lavorando per ricostruire le ore dell’incubo e individuare i responsabili. Le indagini, affidate ai carabinieri, mirano anche a verificare la diffusione del presunto video, che renderebbe la vicenda ancora più agghiacciante.

Intanto, la madre continua a chiedersi come sia stato possibile tutto questo: «Perché tutta questa cattiveria a questa età? Perché un ragazzo deve arrivare a fare tanto male a un coetaneo che non ha mai fatto del male a nessuno?»

La donna oggi trova la forza solo nella sopravvivenza del figlio e nella speranza che chi ha commesso quelle atrocità venga punito. «Io ringrazio Dio che mio figlio è vivo, ma ora voglio solo giustizia!» ripete.

Giustizia, perché quello che è successo a suo figlio non sia dimenticato né derubricato a una “bravata” adolescenziale. Giustizia, perché nessun altro ragazzo debba più vivere la stessa notte di orrore.

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