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Cronaca

«Non sapevo fosse un mostro»: la madre di Pamela Genini davanti ai pm tra silenzi, chiavi duplicate e l’ombra della premeditazione

Famiglia all’oscuro per un anno e mezzo, Soncin tace; ricostruito il viaggio da Cervia a Milano

 Pamela Genini

Pamela Genini e Gianluca Soncin

La frase d’esordio è un pugno nello stomaco e non lascia scampo alle interpretazioni: «Non sapevamo nulla di quello che lui le faceva purtroppo, per noi era una relazione sentimentale normale, lei non ci diceva nulla delle violenze». È il verbale emotivo di Una Smirnova, madre di Pamela Genini, 29 anni, uccisa il 14 ottobre a Milano con più di 30 coltellate. Lo avrebbe fatto, secondo l’accusa, Gianluca Soncin, ora in cella con l’imputazione di omicidio pluriaggravato. Stamane, al quarto piano del Palazzo di Giustizia milanese, la donna ha ripercorso con i magistrati «quel poco» che sapeva della vita della figlia. Subito dopo è stato ascoltato anche Nicola, fratello di Pamela, che ha denunciato di essere stato a sua volta bersaglio di aggressioni e minacce attribuite all’uomo.

Pamela e Gianluca

Dalle due deposizioni emerge una costante: la famiglia, per circa un anno e mezzo, non ha avuto contezza delle violenze e dei soprusi subiti dalla giovane. A settembre dello scorso anno, a Cervia, accadde un episodio rivelatore solo col senno di poi: Pamela rientrò precipitosamente a casa, nella Bergamasca, e si fece medicare al pronto soccorso dell’ospedale di Seriate per immobilizzare un dito. La madre ha spiegato di non aver mai saputo che a romperglielo sarebbe stato proprio Soncin. In quell’assenza di segnali rientra anche una telefonata fatta dall’auto, con l’annuncio di una «bella notizia» di matrimonio e una breve conversazione in vivavoce con l’uomo. All’epoca, racconta Una Smirnova, la voce di lui le parve cortese: «Mi sembrava gentile… ma poi si è rivelato un mostro».

C’è spazio anche per un’amarezza rivolta alla rete amicale della figlia. La madre sostiene che, qualora qualcuna delle amiche fosse stata al corrente della situazione, avrebbe dovuto denunciare; invece, dice, «l’hanno lasciata sola». Nel mezzo del dolore, una richiesta concreta: la restituzione della cagnolina Bianca, il chihuahua che compare in molte foto della ragazza e a cui è stato dedicato anche un profilo social. L’animale è ora custodito dall’amico Francesco e la famiglia chiede che torni a casa.

Pamela con Bianca

Sul fronte investigativo, la macchina della giustizia si muove rapida. Le indagini — coordinate dalla pm Alessia Menegazzo e dall’aggiunta Letizia Mannella, e condotte dalla Polizia di Stato — puntano a ricostruire nel dettaglio il femminicidio per valutare la richiesta di rito immediato nei confronti di Gianluca Soncin, che continua a mantenere il silenzio. Gli inquirenti stanno ripercorrendo, passo dopo passo, il tragitto compiuto dall’indagato martedì della scorsa settimana da Cervia a Milano e stanno fissando l’ora esatta dell’ingresso nell’appartamento di via Iglesias, preso in affitto da Pamela. In quella ricostruzione pesa un particolare: l’uomo avrebbe usato un mazzo di chiavi di cui aveva fatto di nascosto una copia. È un elemento centrale per la contestazione della premeditazione, una delle aggravanti che, nel quadro delineato, fanno intravedere l’ipotesi dell’ergastolo.

Dentro questo mosaico di tasselli — la discrezione della vittima, la fiducia familiare, il cortocircuito di un annuncio di nozze accostato a una storia di brutalità — resta l’urgenza di comprendere come una violenza protratta per mesi abbia potuto consumarsi senza varcare la soglia domestica dell’evidenza. Gli atti però, al netto delle emozioni, dicono ciò che oggi conta per la giustizia: la cronologia dei movimenti, le chiavi duplicate, il silenzio dell’indagato, il perimetro delle aggressioni denunciate dal fratello. Da qui passerà la verità processuale su Gianluca Soncin e sulla morte di Pamela Genini.

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