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DAZN, la "caccia alle streghe" è iniziata! Oltre 2.000 richieste di risarcimento ai tifosi del “pezzotto”

Lettere di risarcimento, inchieste in corso e utenti identificati: la stretta contro lo streaming illegale del calcio diventa reale, e questa volta colpisce chi guarda, non solo chi trasmette

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DAZN, la "caccia alle streghe" è iniziata! Oltre 2.000 richieste di risarcimento ai tifosi del “pezzotto”

Per anni è stato considerato un segreto di Pulcinella. Bastava una connessione internet, un decoder improvvisato e un abbonamento da pochi euro al mese per avere tutto: Serie A, Champions League, cinema, sport, perfino Netflix. Un click e il mondo era a portata di mano, senza limiti e senza pagare il prezzo reale. Ma quel mondo parallelo, fatto di link e server off-shore, sta crollando pezzo dopo pezzo. E a rimetterci, oggi, non sono solo i grandi pirati che distribuivano i flussi, ma anche i semplici spettatori: i cosiddetti “abbonati al pezzotto”.

Nelle ultime settimane DAZN ha acceso la miccia di una nuova fase nella guerra contro la pirateria digitale. Dopo anni di denunce e operazioni di polizia, l’azienda ha iniziato a inviare lettere di risarcimento agli utenti individuati durante le indagini condotte dalla Guardia di Finanza. Circa 500 euro: questa è la cifra richiesta come compensazione per i danni subiti. Si tratta di un passaggio storico, perché per la prima volta una piattaforma streaming non si limita a segnalare i trasgressori alle autorità ma li chiama direttamente a rispondere economicamente. Le raccomandate stanno arrivando in tutta Italia, con un linguaggio formale ma inequivocabile: o si paga entro sette giorni, oppure la questione finirà davanti a un giudice civile.

DAZN non è sola in questa battaglia. Anche Sky e la Lega Serie A hanno ottenuto l’elenco di oltre duemila utenti identificati in decine di province. Una mappa del consumo illegale che attraversa l’intero Paese, dai grandi centri urbani alle aree di provincia, segno che la pirateria calcistica non è più un fenomeno marginale ma una pratica di massa. E proprio per questo, chi gestisce i diritti televisivi ha deciso di cambiare approccio: non basta più colpire i distributori, bisogna disincentivare la domanda.

Negli anni passati, le operazioni della Guardia di Finanza avevano portato al sequestro di piattaforme come Xtream Codes, con milioni di utenti collegati. L’effetto, però, era sempre temporaneo: chiudeva un sito, ne nasceva un altro. Adesso la strategia è diversa e molto più personale. DAZN e Sky hanno incrociato i dati forniti dalle inchieste con quelli di pagamento e connessione, identificando così non solo chi gestiva lo streaming ma anche chi lo guardava. E per ognuno di loro è scattata la richiesta di risarcimento.

La nuova linea è chiara: spostare la pressione legale sul singolo utente. Fino a pochi mesi fa, chi usava il pezzotto rischiava una multa amministrativa tra i 150 e i 5000 euro, prevista dalla legge italiana per la fruizione di contenuti protetti da copyright. Oggi, a quella sanzione si aggiunge un’altra minaccia: il risarcimento civile. In sostanza, chi guardava le partite gratis o quasi, ora deve restituire il guadagno “illecito” alle società danneggiate. È una vera e propria inversione di paradigma, un modo per colpire la radice economica del problema.

A rafforzare questa offensiva, nelle ultime settimane si sono aggiunte nuove operazioni di polizia giudiziaria. A Catania, sette persone sono state arrestate nell’ambito dell’indagine “Gotha 2”, che ha smantellato una rete organizzata di streaming illegale capace di generare milioni di euro di profitto. Gli investigatori hanno scoperto una struttura tecnica sofisticata, con server all’estero, rivendite online e un sistema di abbonamenti parallelo a quello ufficiale. Tutto veniva gestito come un vero e proprio business, con gerarchie, tariffe e perfino assistenza clienti.

Ma il vero nodo, secondo gli inquirenti, resta la diffusione sociale del fenomeno. Non si tratta più di un’élite di smanettoni o hacker, ma di un pubblico trasversale, fatto di famiglie, studenti, lavoratori, pensionati. Persone comuni che, per risparmiare qualche decina di euro al mese, hanno scelto la scorciatoia. In molti casi, neppure consapevoli del reato che stavano commettendo. Ora però quella leggerezza rischia di trasformarsi in un costo ben più alto.

Le cifre sono eloquenti. Secondo le stime della FAPAV (Federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali), oltre 5 milioni di italiani hanno utilizzato almeno una volta piattaforme IPTV illegali. Il danno complessivo per il settore audiovisivo supera un miliardo di euro l’anno, tra mancati abbonamenti, introiti pubblicitari e tasse non versate. Per DAZN, che ha investito cifre colossali per acquisire i diritti della Serie A, la pirateria rappresenta una minaccia diretta alla sostenibilità del servizio.

Dietro il tono formale delle lettere di risarcimento, c’è un messaggio preciso: chi guarda senza pagare toglie risorse a chi produce, indebolisce il sistema, mette a rischio i posti di lavoro e la qualità dei contenuti. È la stessa argomentazione usata dall’amministratore delegato di DAZN Italia, Stefano Azzi, quando ha annunciato la svolta repressiva: “Non si tratta di fare caccia alle streghe, ma di tutelare chi rispetta le regole e paga un abbonamento regolare”.

Non è un caso che la stretta sia arrivata proprio in un momento in cui il calcio italiano tenta di rilanciarsi sul piano economico. I club, già provati da anni di bilanci in rosso, contano sui proventi televisivi per mantenere le rose e competere a livello europeo. Ogni spettatore che sceglie la via illegale sottrae una piccola parte di quelle risorse, e a catena contribuisce al declino del sistema.

Il "pezzotto": quando la passione per il calcio diventa illegale

La questione del pezzotto non è solo economica: è anche culturale. La percezione diffusa, per molto tempo, è stata che “tanto non succede nulla”. Le inchieste venivano viste come episodi isolati, le sanzioni come minacce lontane. Oggi invece le conseguenze sono tangibili. Le raccomandate arrivano davvero, le multe si trasformano in pignoramenti, le indagini diventano processi. Chi pensava di nascondersi dietro l’anonimato di un link scopre che nessuna connessione è davvero invisibile.

Questa nuova fase della guerra alla pirateria segna anche una svolta legale. A maggio 2023 il Parlamento italiano ha approvato la legge 93/2023, che rafforza il contrasto alle trasmissioni illegali in diretta. La norma consente all’Autorità per le Comunicazioni (AGCOM) di bloccare in tempo reale i flussi pirata, su segnalazione dei titolari dei diritti. In pratica, nel giro di pochi minuti dall’inizio di una partita trasmessa illegalmente, il sito che la ospita può essere oscurato. È un’arma potente, ma non infallibile: i pirati si spostano rapidamente, creando nuovi domini e mirror site in paesi dove la legge italiana non arriva.

Intanto, le piattaforme ufficiali spingono sulla comunicazione. Spot televisivi e campagne social ricordano agli utenti che “il pezzotto è un reato”, non un escamotage. Vengono citati i rischi concreti: multe salate, ma anche furti di dati e truffe. Molti siti pirata, infatti, sono solo esche per carpire carte di credito o installare malware nei dispositivi. Chi crede di risparmiare pochi euro può ritrovarsi con il conto prosciugato o il telefono infettato.

Dietro la parola “pezzotto”, c’è un sistema tecnologico tanto ingegnoso quanto illegale. Il termine nasce nel gergo napoletano e indica, in senso letterale, qualcosa di “aggiustato”, di “fatto alla meglio”. In ambito digitale è diventato sinonimo di IPTV pirata, ossia un servizio che trasmette via internet i contenuti di piattaforme ufficiali senza licenza. Funziona così: un gruppo di hacker o rivenditori acquista legalmente un abbonamento DAZN o Sky, ne copia il flusso video e lo ridistribuisce a migliaia di utenti attraverso server dedicati. Gli abbonati al pezzotto pagano un canone irrisorio — spesso tra i 10 e i 20 euro al mese — e accedono a un “portale” che riproduce l’interfaccia dei servizi originali.

È un sistema sofisticato ma vulnerabile. Ogni connessione lascia tracce: indirizzi IP, log di accesso, pagamenti tracciabili. Ed è proprio attraverso questi indizi che gli investigatori riescono a risalire agli utenti finali. L’errore più comune di chi usa il pezzotto è credere che basti una VPN per sparire. Ma le piattaforme e le autorità dispongono di strumenti forensi capaci di incrociare i dati e identificare gli utilizzatori anche a distanza di mesi.

Le nuove leggi anti-pirateria, approvate tra il 2023 e il 2024, hanno rafforzato le sanzioni. Oltre all’oscuramento immediato dei siti, è prevista la reclusione fino a tre anni per chi gestisce o vende abbonamenti illegali, e multe fino a 15.000 euro per gli utenti recidivi. Inoltre, il reato di “diffusione abusiva di contenuti protetti” è stato esteso anche ai canali social e alle chat private, dove spesso circolano link a eventi sportivi trasmessi illegalmente.

Il messaggio è chiaro: la stagione dell’impunità è finita. E se fino a ieri il “pezzotto” sembrava una scorciatoia innocua, oggi è diventato una trappola. Tra sanzioni, risarcimenti e rischi digitali, guardare una partita gratis può costare caro. Molto più caro di un abbonamento regolare.

In fondo, il problema del pezzotto racconta anche un paradosso tutto italiano: la passione per il calcio che sconfina nell’illegalità. Milioni di tifosi disposti a tutto pur di non perdersi un gol, un derby, una finale. Ma la tecnologia che ha reso possibile vedere tutto, ovunque e a basso costo, ora chiede il conto. E per una volta, non c’è replay che possa cancellare la realtà.

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