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Italia-Israele, Gattuso avverte: “Non si respira una bella aria”

Tra proteste e tensioni, l’Italia si scopre un Paese diviso anche sul calcio

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Italia-Israele, Gattuso avverte: “Non si respira una bella aria”

Non è soltanto una partita di calcio. Italia-Israele, in programma a Udine il 14 ottobre, è diventata un termometro del malessere politico e civile che attraversa il Paese. La Nazionale di Gennaro Gattuso, chiamata a vincere per restare in corsa verso i Mondiali 2026, si ritrova a scendere in campo in un clima che di sportivo ha ormai ben poco. Il commissario tecnico lo ha detto con franchezza: «Non si respira una bella aria». Le sue parole hanno il peso di un sintomo — quello di un’Italia che, tra proteste, scioperi e divisioni, fatica a separare il pallone dalla geopolitica.

Allo stadio Friuli di Udine, che per l’occasione tornerà al nome storico e non commerciale, saranno appena 4.000 i biglietti venduti. Dentro, spalti semivuoti; fuori, oltre 10.000 manifestanti attesi da ogni parte del Paese. Cortei, presìdi e sit-in contro la partecipazione della nazionale israeliana, a meno di due settimane dalle proteste esplose dopo l’abbordaggio della Global Sumud Flotilla da parte dell’esercito israeliano. Le autorità temono infiltrazioni, e il Viminale ha predisposto misure di sicurezza straordinarie. La priorità è evitare che un evento sportivo si trasformi in un teatro di tensione politica.

Il contesto, del resto, non aiuta. In Italia, cresce una mobilitazione senza precedenti: università occupate, scioperi dei trasporti e manifestazioni studentesche si moltiplicano da Milano a Napoli, chiedendo una presa di posizione chiara del Governo Meloni contro la linea militare di Tel Aviv. In piazza scendono non solo attivisti e sindacati, ma anche docenti, artisti, e una parte crescente della società civile. Il nodo è sempre lo stesso: il riconoscimento dello Stato di Palestina e la sospensione dei rapporti militari ed economici con Israele.

Nel frattempo, il governo è sotto pressione anche sul fronte internazionale. Francia e Regno Unito hanno già riconosciuto formalmente lo Stato di Palestina, mentre Roma continua a mantenere una posizione ambigua, che alterna appelli alla de-escalation e dichiarazioni di sostegno alla sicurezza israeliana. Le opposizioni chiedono un cambio di rotta: il Pd parla di “neutralità ipocrita”, mentre il Movimento 5 Stelle spinge per una mozione parlamentare che vincoli l’Italia a un voto all’Onu per il riconoscimento palestinese.

In questo scenario, anche la FIGC e la Nazionale si trovano al centro di un vortice che non hanno cercato. Le pressioni per escludere Israele dalle competizioni UEFA e FIFA, come accadde con la Russia nel 2022, aumentano di giorno in giorno. Gli stessi giocatori italiani, pur evitando commenti diretti, si muovono in un clima in cui la tensione filtra persino negli spogliatoi.

Gattuso, con la sua consueta franchezza, ha provato a riportare il discorso sul piano sportivo: ha chiesto concentrazione, equilibrio, lavoro. Ma il suo “non si respira una bella aria” è anche una fotografia del Paese: un’Italia divisa tra chi difende il valore simbolico della libertà di gioco e chi non accetta che una competizione sportiva ignori la tragedia politica in corso.

A Udine, martedì sera, si giocherà una partita che vale più di tre punti. Sarà il riflesso di un’Europa lacerata e di un Paese che cerca la propria voce tra diplomazia e coscienza civile. E anche se la palla rotolerà sul prato, l’aria — come ha detto Gattuso — resterà densa, sospesa, pesante come un silenzio che ancora non trova parole.

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