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Cronaca
07 Ottobre 2025 - 09:34
Frode da 20 milioni ai danni dell’Unione Europea: la Guardia di Finanza scopre un maxi sistema di frode (foto d'archivio)
Un sistema articolato, durato cinque anni e diffuso in mezza Italia, con un solo obiettivo: ottenere indebitamente i contributi europei destinati all’agricoltura. È la frode scoperta dalla Guardia di Finanza di Padova, che ha denunciato 48 imprenditori agricoli e sequestrato beni e denaro per 17,2 milioni di euro, su disposizione del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Padova.
L’indagine, coordinata dalla Procura Europea di Venezia, ha permesso di smascherare una truffa aggravata ai danni del Fondo Europeo Agricolo di Garanzia (FEAGA), da cui i responsabili avevano indebitamente incassato, tra il 2017 e il 2022, oltre 20 milioni di euro. Si tratta di uno dei casi più gravi di frode ai fondi comunitari registrati negli ultimi anni in Veneto, ma con ramificazioni in tutto il Paese, dal Piemonte al Lazio, fino all’Abruzzo e alle Marche.
Secondo quanto accertato dalle Fiamme Gialle, due imprenditori padovani avrebbero ideato un sistema basato su aziende agricole “di comodo”, create solo per superare i limiti imposti dalla Politica Agricola Comune sugli aiuti diretti. La normativa, infatti, fissa a 500 mila euro annui il tetto massimo dei contributi erogabili per singola azienda (il cosiddetto “capping”). Per aggirare la regola, l’impresa madre sarebbe stata frazionata in dodici finte aziende dislocate in Veneto, Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, tutte riconducibili agli stessi soggetti.
Ma non è tutto. I finanzieri hanno scoperto anche una seconda condotta illecita: l’elusione del divieto di pascolamento da parte di terzi, in vigore dal 2015. Attraverso false locazioni di terreni, finti allevamenti e documenti manipolati, gli indagati avrebbero consentito a soggetti compiacenti di incassare contributi europei senza svolgere alcuna reale attività agricola.
Nel dettaglio, diversi imprenditori del Nord Italia, in possesso di titoli PAC inutilizzati, si sarebbero rivolti ai due organizzatori padovani per ottenere, solo sulla carta, terreni, stalle, capi di bestiame, veterinari e servizi amministrativi, creando così le condizioni per presentare domanda di sostegno economico. In realtà, le attività di pascolo venivano svolte da altri soggetti, mentre gli ideatori del sistema incassavano canoni di affitto gonfiati, lucrando sui terreni e sulle pratiche.
L’inchiesta, condotta dal Gruppo della Guardia di Finanza di Padova con il supporto dei Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria di Macerata e Rieti, delle Sezioni Aeree di Pratica di Mare e Pescara e del Nucleo Investigativo Agroalimentare dei Carabinieri di Rieti, ha richiesto anni di indagini, con intercettazioni, accertamenti bancari, perquisizioni, pedinamenti e sorvoli aerei.
Le attività hanno permesso di ricostruire una rete di società e conti correnti sparsi in varie regioni, tra cui Piemonte, Lombardia, Umbria, Lazio e Marche. Anche nel Torinese risultano alcune aziende agricole coinvolte, sebbene con un ruolo marginale rispetto al nucleo padovano.
A conclusione dell’indagine, la Procura Europea ha chiesto e ottenuto il sequestro preventivo dei beni riconducibili agli indagati, per un totale di 17,2 milioni di euro, oltre a un blocco di 4 milioni di euro di titoli di pagamento ancora in fase di erogazione, notificato all’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (AGEA). Gli imprenditori sono stati anche segnalati alla Corte dei Conti del Veneto per un danno erariale complessivo stimato in 32,1 milioni di euro.
Le indagini hanno messo in luce come l’abuso dei fondi europei destinati all’agricoltura danneggi non solo le casse dell’Unione, ma anche gli agricoltori onesti, costretti a competere con chi, grazie ai contributi illeciti, riesce a offrire prezzi più bassi e condizioni di mercato distorte.
La Guardia di Finanza ha sottolineato che l’operazione rappresenta un “segnale forte contro chi altera il sistema degli aiuti pubblici” e ha ricordato che dal 2022, in seguito alla riforma del codice penale, il traffico e l’importazione di beni culturali o agricoli frutto di reato sono puniti con pene detentive fino a sei anni.
«Recuperare risorse europee significa tutelare non solo la legalità, ma anche la credibilità del settore agricolo italiano – ha spiegato un ufficiale della Guardia di Finanza di Padova –. Le frodi in questo ambito compromettono la fiducia dei cittadini e sottraggono fondi preziosi allo sviluppo delle imprese virtuose».
Le verifiche proseguono per accertare ulteriori ramificazioni del sistema e per stabilire se parte dei fondi ottenuti illegalmente siano stati riciclati in altri settori economici o reinvestiti all’estero.
Immagine di repertorio
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