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Cronaca

Nuova aggressione al Pronto soccorso di Ciriè, sette operatori sanitari feriti

NurSind e Anaao-Assomed denunciano: “Mancano vigilanza armata, protocolli e misure strutturali”

Nuova aggressione al Pronto soccorso di Ciriè, sette operatori sanitari feriti

Nuova aggressione al Pronto soccorso di Ciriè, sette operatori sanitari feriti (immagine di repertorio)

Sette operatori sanitari, tra medici, infermieri e personale del pronto soccorso, sono rimasti coinvolti in una violenta aggressione all’ospedale di Ciriè. Alcuni hanno riportato danni fisici significativi, altri sono finiti in prognosi di più giorni. L’episodio ha riportato in primo piano il tema della sicurezza nei reparti di emergenza, dove la tensione crescente rischia di trasformarsi in violenza contro chi dovrebbe prendersi cura dei pazienti.

A denunciare la gravità della situazione sono le sigle sindacali più rappresentative del settore sanitario. Secondo NurSind e Anaao-Assomed, quanto accaduto dimostra che gli interventi messi in campo fino ad oggi sono del tutto insufficienti. La richiesta, ripetuta ormai da mesi, è l’adozione di misure concrete per garantire che i lavoratori non diventino bersagli di rabbia e frustrazione.

Il punto più critico riguarda la vigilanza. Da tempo viene sollecitata la presenza continuativa di forze dell’ordine o di vigilanza armata all’interno del pronto soccorso. Una misura prevista da delibere già esistenti ma mai attuata in maniera effettiva. Non risultano neppure protocolli operativi chiari con le forze dell’ordine, strumenti che sarebbero indispensabili per garantire interventi tempestivi in caso di episodi di violenza.

Il tema non si limita però alla protezione fisica degli operatori. La questione è anche strutturale e organizzativa. Gli ambienti dei pronto soccorso, spesso sovraffollati e privi di strumenti per fornire informazioni aggiornate, diventano terreno fertile per tensioni e conflitti. L’assenza di monitor o schermi informativi che mostrino in tempo reale lo stato delle prestazioni, l’inadeguatezza degli spazi d’attesa e la mancanza di percorsi di accoglienza contribuiscono a creare un clima esasperato che può degenerare in episodi come quello avvenuto a Ciriè.

Un altro nodo è quello delle carenze di organico. La scarsità di personale, unita ai turni massacranti, impedisce a medici e infermieri di fornire informazioni chiare e puntuali a pazienti e familiari. Senza comunicazione, cresce la sensazione di abbandono, e spesso la rabbia si riversa proprio contro chi, nonostante tutto, sta cercando di prestare aiuto. Assunzioni mirate, spiegano i sindacati, permetterebbero di distribuire meglio il carico di lavoro e di ridurre le situazioni di conflitto.

La responsabilità politica e gestionale viene rivolta direttamente alla Regione Piemonte, accusata di non aver ancora messo in campo un piano strutturale per affrontare la questione. L’appello è a verificare costantemente l’operato delle aziende sanitarie, affinché non si limitino a tamponare le emergenze ma adottino strategie durature per garantire la sicurezza del personale.

Il discorso tocca anche i diritti dei lavoratori sul piano legale e psicologico. Tra le richieste vi sono il patrocinio gratuito per gli operatori aggrediti, l’istituzione di percorsi di supporto psicologico e la possibilità per le aziende di costituirsi parte civile nei processi, così da dare un segnale di sostegno concreto a chi subisce violenza sul lavoro.

Il contesto sociale è un ulteriore elemento da non sottovalutare. Secondo i rappresentanti dei lavoratori, le crescenti difficoltà economiche e sociali, unite a un clima di aggressività diffusa, spingono troppe persone a sfogare la propria rabbia contro il primo volto che incontrano nei corridoi di un pronto soccorso. Ma quel volto è quasi sempre quello di chi corre in aiuto. Un paradosso che, come ricordano, non può essere accettato né tollerato.

Giuseppe Summa, della segreteria territoriale NurSind Torino, e Chiara Rivetti, della segreteria regionale Anaao-Assomed Piemonte, hanno ribadito la necessità di un cambio di passo immediato. Per loro la situazione è ormai insostenibile: senza vigilanza costante, protocolli chiari, investimenti strutturali e un serio piano di assunzioni, episodi come quello di Ciriè continueranno a ripetersi.

Il pronto soccorso, sottolineano, è un luogo di cura che non può trasformarsi in un campo di battaglia. Eppure, il rischio è quotidiano: basta un ritardo, un’incomprensione, una parola detta male per scatenare reazioni imprevedibili e violente. A pagarne il prezzo sono operatori già allo stremo, che ogni giorno entrano in corsia con la consapevolezza di poter diventare vittime.

Le richieste sono precise: presenza fissa di forze dell’ordine negli ospedali, protocolli operativi sottoscritti e applicati, riorganizzazione degli spazi di attesa, incremento delle assunzioni e applicazione immediata delle tutele previste dai contratti e dalle norme. Nessun alibi, nessun rinvio.

A Ciriè, intanto, resta il bilancio di sette persone aggredite, colpite mentre erano al lavoro. Un numero che pesa come un macigno e che, nelle parole dei sindacati, deve rappresentare un punto di non ritorno. «Questo non è accettabile», è la frase che sintetizza lo stato d’animo di chi, in corsia, ha ormai perso la pazienza.

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