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Cronaca

“La voglio morta”: minacce a Simona Ventura, Le Iene smascherano lo stalker di Torino

Tra persecuzioni, fragilità psichiche e solitudine familiare, la vicenda mette a nudo i limiti del sistema di tutela per le vittime e per chi soffre di malattie mentali

“La voglio morta”

“La voglio morta”: minacce a Simona Ventura, Le Iene smascherano lo stalker di Torino

Un’inchiesta televisiva, una voce che urla odio, una famiglia lasciata sola. Le minacce a Simona Ventura, giornalista e conduttrice chivassese, sono diventate un caso nazionale dopo il servizio trasmesso domenica 28 settembre da Le Iene su Italia 1. La trasmissione condotta da Giulio Golia ha dato un volto a chi, da anni, perseguita Ventura con centinaia di messaggi vocali in cui ripete ossessivamente frasi come «La voglio morta, maledetta». Una vicenda che si intreccia con l’amore malato, la persecuzione, la fragilità psichiatrica e la fragilità di un sistema che spesso non riesce a proteggere né le vittime né i malati.

Il servizio è partito dalle denunce della coppia. Giovanni Terzi, giornalista e compagno della conduttrice, ha spiegato che i primi messaggi sono arrivati tre anni fa tramite un profilo Instagram. «Molte volte non mi ha detto di questi messaggi, perché voleva proteggermi», ha raccontato. Ventura stessa ha confermato che il peso di quelle parole l’ha colpita profondamente, anche se ha scelto per molto tempo il silenzio per evitare di alimentare la spirale persecutoria.

I vocali trasmessi dalle Iene hanno lasciato poco spazio ai dubbi: «Lurida figlia di Satana», «La voglio morta, morta». Nella narrazione delirante dello stalker, Ventura sarebbe a capo di una setta satanica responsabile addirittura di omicidi. «Avrebbe ucciso lei e la nostra famiglia», ha spiegato Terzi. Una prima denuncia per stalking era stata presentata un anno e mezzo fa, sembrava aver chiuso il capitolo, ma dieci giorni fa le minacce sono ricominciate, più violente che mai.

Il servizio ha ricostruito anche il profilo dell’uomo: 48 anni, vive a Torino, una lunga storia di problemi psichiatrici, cinque ricoveri, trattamenti sanitari obbligatori, episodi di violenza. A raccontarlo è stato lo stesso protagonista, intervistato da Golia. «Io sono parente di Simona Ventura. Lei fa parte di una psicosetta che l’ha fatta diventare famosa insieme ad altri… Io ero un prescelto», ha detto, sostenendo di essere vittima della conduttrice. Ha negato l’intenzionalità delle minacce: «Sono parole che si dicono per dire, non sono parole intenzionali». Eppure ha aggiunto frasi agghiaccianti: «Siccome mi ha rovinato la vita, almeno vederla spiaccicata, no?».

Dietro l’odio, emerge il quadro di una vita segnata dalla malattia e dalla solitudine. «Io sono solo da trent’anni, sono considerato malato psichiatrico falsamente, vivo con i miei genitori perché non ho un lavoro né un soldo», ha detto, raccontando di assumere farmaci e di essere seguito da uno psichiatra che «quasi mai è presente». Ha persino accusato Ventura e Victoria Cabello di averlo “violentato” durante un soggiorno all’Ostello di Venezia nel 1998: un racconto privo di riscontri, che appare come un delirio persecutorio.

A rendere più drammatica la situazione è il contesto familiare. I genitori dell’uomo, anziani e malati, portano sulle spalle il peso della sua condizione. «Il papà ha più di 70 anni, è in pensione ma continua a lavorare per mantenerlo. La mamma è molto malata. Sono 25 anni che chiediamo aiuto, nessuno ci ascolta», ha raccontato una persona vicina alla famiglia. Un dramma nel dramma: un figlio malato che rifiuta le cure, due genitori stremati e abbandonati.

Il quadro tracciato da Golia e confermato dai parenti è quello di una malattia psichiatrica non gestita, che si trasforma in persecuzione verso una persona nota, ma che potrebbe avere come bersaglio chiunque. E infatti Ventura lo ha sottolineato: «Ci ha turbato, ma pensiamo che questo possa dare un esempio alle persone che subiscono minacce e che non denunciano. Che possano prendere coraggio tante donne che dicono: abbiamo denunciato cinque volte, poi l’uomo arriva e le ammazza».

La vicenda mette in luce due fragilità. La prima è quella della tutela delle vittime: Ventura, con la sua notorietà, è riuscita a far emergere il caso grazie a una trasmissione nazionale, ma molte altre donne e uomini perseguitati non hanno gli stessi strumenti mediatici e rischiano di rimanere invisibili. La seconda fragilità riguarda la cura delle malattie psichiatriche: lo stalker ha una diagnosi da oltre vent’anni, è stato ricoverato più volte, ma continua a vivere in una situazione di marginalità, con cure discontinue e un’assistenza frammentata.

Il tema è stato posto dallo stesso Golia, che al termine del servizio ha chiesto: «È possibile che questa famiglia sia stata lasciata da sola?». La domanda riecheggia come un’accusa al sistema sanitario e giudiziario, incapace di prevenire le ricadute di pazienti psichiatrici cronici, lasciando che siano le famiglie a gestire un carico insostenibile.

La storia di Simona Ventura e del suo stalker apre così un dibattito che va oltre il gossip e la cronaca nera. È un caso che mette in luce il vuoto di protezione intorno alle vittime di stalking, ma anche la solitudine di chi convive con una malattia mentale e di chi se ne prende cura. È il cortocircuito tra due diritti fondamentali: il diritto alla sicurezza e il diritto alla salute.

Non è la prima volta che episodi di persecuzione contro personaggi noti diventano casi mediatici. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le denunce di vip perseguitati da stalker, spesso persone affette da disturbi psichici. Ma ogni volta la vicenda solleva la stessa domanda: quali strumenti concreti esistono per fermare chi non vuole essere curato ma rappresenta una minaccia per sé e per gli altri?

L’inchiesta delle Iene ha avuto un merito: ha tolto l’anonimato al persecutore, mostrando che dietro l’odio c’è una persona malata, che vive di allucinazioni e convinzioni deliranti. Ma non basta mostrare, serve agire. La denuncia presentata da Ventura e Terzi fornirà nuovo materiale alle forze dell’ordine, ma resta da capire se e come le istituzioni potranno affrontare il nodo strutturale: garantire sicurezza alle vittime senza trasformare i malati in fantasmi lasciati a se stessi.

Intanto, Ventura ha ringraziato pubblicamente la trasmissione per il lavoro svolto, sottolineando l’importanza del coraggio di denunciare: «Questo caso deve servire a tante donne che subiscono minacce e che non denunciano. Bisogna parlare, bisogna chiedere aiuto». Un messaggio che vale per tutti, non solo per i volti noti.

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