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Cronaca
12 Settembre 2025 - 09:16
Due appartamenti trasformati in case di appuntamento: c'era una donna dietro il malato meccanismo
Ad Asti un’indagine condotta dalla Polizia ha fatto emergere un sistema strutturato e inquietante di prostituzione organizzata, con due appartamenti usati come basi operative e una donna, cittadina cinese con permesso di soggiorno per lavoro, individuata come principale responsabile. L’arresto della presunta tenutaria e il sequestro degli immobili e di 50 mila euro in contanti hanno segnato un punto decisivo di un’inchiesta che ha portato anche all’espulsione di quattro stranieri irregolari, tre donne e un uomo, coinvolti a vario titolo nell’attività.
Secondo quanto ricostruito, non si trattava di un fenomeno isolato né improvvisato. La donna avrebbe costruito un sistema con regole rigide, imponendo alle sue connazionali di prostituirsi e di versarle la totalità degli incassi. Le ragazze vivevano sotto controllo costante: la gestione avveniva attraverso un sofisticato sistema di telecamere collegate da remoto, che consentiva all’arrestata di monitorare i movimenti, le entrate e le uscite, ma anche di vigilare sugli incontri con i clienti. Un meccanismo che ricorda più una sorveglianza carceraria che una convivenza forzata, dove ogni margine di autonomia era annullato da un occhio elettronico sempre puntato su di loro.
Le indagini hanno inoltre svelato la componente commerciale del sistema. La donna non si accontentava di sfruttare le presenze già disponibili, ma puntava ad ampliare costantemente il giro d’affari. Per questo motivo pubblicava inserzioni su riviste locali, promuovendo le prestazioni delle ragazze con annunci mirati, costruiti per attirare clienti e garantire un flusso continuo di entrate. Una forma di marketing illegale che ha contribuito a rafforzare il sospetto che dietro le apparenze ci fosse una vera e propria organizzazione con logiche imprenditoriali.
L’inchiesta non si è limitata a smascherare il sistema di sfruttamento, ma ha toccato anche la posizione personale della donna sul territorio italiano. Per ottenere il permesso di soggiorno, aveva dichiarato un indirizzo fittizio, legato all’abitazione di un cittadino italiano che, secondo gli inquirenti, non aveva alcun legame reale con lei. L’uomo è stato denunciato per aver fornito un appoggio che ha consentito alla donna di presentarsi come regolare sul territorio, nonostante la sua attività fosse di tutt’altra natura. Questo dettaglio mette in luce come la vicenda non fosse isolata ma, al contrario, avesse ramificazioni che coinvolgevano anche soggetti locali disposti a chiudere un occhio.
La vicenda giudiziaria si intreccia con una riflessione più ampia sul fenomeno dello sfruttamento sessuale in Italia. Le case di appuntamento, nonostante la legge Merlin del 1958 abbia chiuso le cosiddette “case chiuse”, continuano a esistere in forme clandestine, spesso all’interno di appartamenti anonimi che non destano sospetti tra i vicini. Sono luoghi dove il denaro scorre in modo incontrollato e le persone, spesso straniere e prive di tutele, diventano strumenti per alimentare un’economia parallela. Non è un caso che le forze dell’ordine parlino di “un mercato nascosto ma capillare”, dove la difficoltà maggiore è proprio l’individuazione dei luoghi e dei soggetti coinvolti.
A livello nazionale, le statistiche mostrano come le donne straniere rappresentino la quota più consistente delle vittime di sfruttamento. Secondo dati raccolti negli ultimi anni dal Dipartimento per le Pari Opportunità, la presenza di cittadine provenienti dall’Est Europa, dall’Africa e dall’Asia è dominante in questo settore, con reti spesso gestite da connazionali che utilizzano il vincolo linguistico e la condizione di irregolarità come strumenti di controllo. Il caso di Asti si inserisce esattamente in questo quadro: donne prive di documenti, isolate e rese dipendenti da una figura che ne controlla spostamenti, guadagni e vita quotidiana.
La posizione dell’arrestata ora passa al vaglio della magistratura. Sarà l’autorità giudiziaria a stabilire quali capi di imputazione confermare e quale cornice sanzionatoria applicare. Il sequestro dei beni e dei contanti, intanto, segna un primo risultato tangibile, sottraendo risorse economiche a un giro che rischiava di consolidarsi ulteriormente. Resta però il nodo delle complicità locali, emerso con il caso dell’indirizzo falso: un aspetto che gli inquirenti intendono approfondire, perché se confermato potrebbe aprire nuovi fronti investigativi e mostrare che dietro i singoli episodi di sfruttamento si nascondono reti più vaste, pronte a sfruttare i margini della burocrazia per mantenere in piedi il sistema.
Il caso di Asti ricorda che dietro le facciate di condomini ordinari possono nascondersi storie di sfruttamento e violenza silenziosa. Le ragazze, ridotte a strumenti di guadagno, vivono nell’ombra di un mercato che continua a reinventarsi, sfidando leggi e controlli. La cronaca giudiziaria, questa volta, ha sollevato il velo su una realtà che difficilmente riesce a emergere alla luce del sole.
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